Miraggi e raggiri

C’è soprattutto una frase, nella storia della resistibile ascesa del M5S e del relativo campionario di rodomontate, sicumera, superiorità morale e moralistica, crassa ignoranza economica, che ci è rimasta in mente. La pronunciò Roberta Lombardi, durante la surreale diretta streaming dell’incontro con il povero (politicamente parlando) Pierluigi Bersani, quello che era andato alle urne praticamente premier e ne era uscito deputato quasi backbencher. La Lombardi, in quell’occasione, disse: “Noi non incontriamo le parti sociali, perché noi SIAMO le parti sociali”. Meraviglioso compendio di un movimento lunare e stralunato, che tutto voleva racchiudere, e che per questo motivo mai avrebbe accettato di governare in coabitazione con chicchessia. Pulsione verso il partito unico non in senso totalitario ma della pura utopia (che dei totalitarismi è tuttavia l’incubatrice).

Da lì in avanti è stata tutta una marcia trionfale, giocata di rimessa e di pesanti rilanci, grazie alla sponda di condizioni economiche del paese che restano molto fragili e dalla carsica emersione di episodi di malaffare. Nel frattempo, il democratico e partecipato movimento ha perso il capo azienda e cambiato pelle, la ridicola e surreale pretesa dell'”uno vale uno” ha lasciato il passo ad una scontata ma altrettanto caricaturale oligarchizzazione, fatta di circolari mail della Spettabile Direzione (“lo staff di Beppe Grillo”), con la creazione di camere di compensazione tra le correnti di un franchising fatto di assoluti outsider, miracolati colpiti da improvviso benessere economico e notorietà, e che ampi strati di una popolazione stressata e credula hanno elevato a giustizieri. Altro ricorrente stilema e miraggio nazionalpopolare, quello di gridare “ladri!” al mondo e poi sgomitare per riuscire ad attovagliarsi.

Poi venne Roma, il trionfo di Virginia Raggi, la catarsi al malaffare piddino ma (si diceva) anche al familismo amorale della destra. Compito da far tremare le vene ai polsi, raddrizzare la capitale fallita di un paese in dissesto civile prima ancora che economico. La giunta Raggi non è mai realmente partita, non solo e non tanto per il pessimo rapporto con la realtà che è caratteristico di giovani e meno giovani esponenti del Movimento, ma prima ancora per una spettacolare implosione causata dal drammatico conflitto tra teoria e prassi, tra trasparenza e opacità, tra suggestioni assembleariste post sessantottine e fatale tendenza a produrre cricche che cinicamente prendono per i fondelli il povero popolo affranto. La grottesca vicenda di Paola Muraro, che per Raggi rappresenta incomprensibilmente una sorta di chiave di volta da cui è impossibile separarsi senza far crollare l’intero edificio, è esemplare.

La consulente di lungo corso di Ama, quella che va a fare un blitz in diretta streaming nell’azienda che conosce come le proprie tasche, l’angelo sterminatore del malaffare, durante quel saggio di recitazione sapeva da alcuni giorni di essere indagata per il reato di attività di gestione non autorizzata di rifiuti. Il punto centrale dell’intera vicenda è che i pentastellati, essendo dei piccoli vivaci Robespierre senza macchia e senza paura, di quelli cioè che in modo piuttosto barbarico considerano gli avvisi di garanzia (rimarchiamo il termine “garanzia”) come sentenza di colpevolezza passata in giudicato, si sono presi paura (almeno quelli tra loro che sapevano) dei loro stessi precetti. Dura lex sed lex, anche se qui di avvisi di garanzia non ce ne sono (ancora). Da qui è partita la giostra infernale di uno psicodramma collettivo fatto di “io non sapevo”, “se c’ero dormivo”, “ho ricevuto la mail ma ho capito male“, oltre a dissociazioni su Twitter del tipo “Dichiaro di non conoscere la dottoressa Muraro, né di averla mai incontrata”. Punto. Verbalizzi, maresciallo.

Poveri grillini, vittime del loro stesso successo e dei loro inflessibili principi. Ne uccidono (politicamente parlando) più le dissonanze cognitive che le guerre. Soprattutto quando siete così rigorosi:

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Voi capite: se studiate da candidato premier da molto tempo, vi siete già detti disponibili a bere l’amaro calice a Palazzo Chigi e avete pure fatto il vostro bravo road show alla city di Londra e Bruxelles, dopo esservi imbarcati sull’aereo al grido “a morte i poteri forti!”, il rischio che (come direbbero dalle vostre parti) vi rompiate le corna è piuttosto elevato. Non tutti i mali vengono per nuocere, in fondo: vedere germogli di garantismo sbocciare tra le forche, grazie al prezioso concime delle dissonanze cognitive, è sempre una splendida immagine, almeno per noi. Se e quando si sarà superata anche questa fase, punteggiata di “è un complotto dei palazzinari contro di noi” e “non c’è alcun complotto”, forse (ma solo forse) si riuscirà anche a tentare di incidere sul destino della disfatta capitale di un paese occidentale in conclamato declino. Sempre che gli elettori italiani, che a maggioranza esprimono una tale fervente religiosità da attendersi sempre la venuta dell’Uomo della Provvidenza, non si stanchino, volgendosi a qualche altro guaritore. Magari di quelli che vogliono uscire dall’euro durante un weekend, meglio se piovoso. Che le audizioni per la farsa proseguano: cerchiamo solo di non bruciare più caratteristi di quanti riusciamo a scritturarne, però.

Aggiornamento dell’8 settembre (una data, un perché) – Salta il mini-direttorio romano, e salta pure De Dominicis. Che la prende con assoluta levitas.

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