Pomicino, Unicredit e la maledizione dell’Articolo Quinto

Ieri, sul Fatto, è apparsa una letterina dell’ex ministro andreottiano del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, che mette in guardia sui “rischi” di un complottone francese che avrebbe il proprio pivot (per restare linguisticamente in tema) in Unicredit e nella sua maxi ricapitalizzazione. Ah, il cospirazionismo, genere letterario preferito dai nostri connazionali e dal loro ingravescente vittimismo. Eppure, basterebbe guardare quelle inquietanti creature chiamate numeri, i veri mostri che danno la caccia agli italiani ed alla loro classe dirigente.

Cosa sostiene Pomicino, che (bene dirlo subito) ha un tratto umano che ispira grande simpatia (almeno al vostro titolare), oltre ad una vivacità intellettuale che sbriciola le banalità ossessivo compulsive di tanti giovani guitti della nostra politica odierna? Una cosa, essenzialmente: l’aumento di capitale Unicredit è troppo grande, pressoché mostruoso. Andrebbe ben oltre le richieste europee indotte dagli stress test della scorsa estate e sarebbe, sempre secondo Pomicino, un modo per sbarazzarsi delle fondazioni azioniste, che non avrebbero i soldi per partecipare all’aumento. Aumento che sarebbe il cavallo di Troia per far entrare in forza i Franzosi in Italia, con un memorabile filotto che da Unicredit giungerebbe sino a Mediobanca e Generali, già ora guidata da un mangiarane (la vedete, la traccia del complotto?).

Scrive Pomicino:

«Molti azionisti, cominciando dalle stesse fondazioni già ridotte al lumicino, non avrebbero le risorse necessarie per concorrere pro quota a questo aumento di capitale. La loro diluizione comporterebbe sul piano finanziario un esproprio perché gli utili del 2016 saranno distribuiti ai vecchi e nuovi azionisti nel nuovo equilibrio. Diventa difficile non immaginare che, ad esempio, grandi società francesi non sottoscrivano in maniera massiccia sul mercato l’aumento di capitale o addirittura non acquisiscano quote importanti di azioni prima ancora della partenza per sottoscrivere poi a sconto l’aumento di capitale, o comprino diritti di opzione per sottoscrivere l’aumento nelle settimane tra l’inizio e la chiusura della procedura»

Possibile che le cose vadano in questo modo. Possibile anche che nel capitale di Unicredit entrino americani, tedeschi, britannici, cinesi. Tutto dipenderà dall’attrattività del nuovo piano industriale elaborato dal ceo, Jean Pierre Mustier. Ma Unicredit, afferma Pomicino, non era in dissesto: anzi, stava decisamente bene, visto che

«[…] ha superato con successo nella prima metà del 2016 lo stress test della Bce e il 18 aprile ha distribuito 750 milioni di euro di dividendi ai propri azionisti. Ha realizzato negli ultimi tre anni utili netti per oltre 5 miliardi di euro di cui 1,9 nei primi nove mesi del 2016»

Però qui servirebbe più precisione, dottor Pomicino. Non è che Unicredit abbia “superato con successo” gli stress test, visto che nello scenario avverso dei medesimi è finita in coda al gruppone. Solito problema di amnesie selettive, un virus il cui ceppo più aggressivo è stato isolato in Italia. Mentre alcuni nostri brillanti editorialisti investigativi si dilettavano con Deutsche Bank, Unicredit scivolava in fondo alla classifica. Aggiungendo a ciò il fatto che la banca italiana è una SIFI, cioè una istituzione finanziaria sistemicamente importante, quindi richiesta di cuscinetti aggiuntivi di capitale, la situazione non appariva brillantissima.

Ma l’azionariato restava diviso, proprio perché tra esso vi erano “realtà indigene” da sempre con grande appetito per i dividendi ma dal portafoglio sempre meno profondo. Il povero ad Federico Ghizzoni è stato quindi per lunghi mesi sballottato dai marosi, inseguendo improbabili ristrutturazioni interne ed una sola stella polare: niente aumenti di capitale ma dividendi dove possibile anche se sotto forma di azioni perché il cash andava risparmiato sino alla morte.

Ahimé, questo approccio non ha pagato, di fronte alla realtà ed a mercati vieppiù sospettosi. Le fondazioni hanno dovuto cedere, Ghizzoni è stato avvicendato con tutti gli onori, dopo essere scivolato sull’enorme buccia di banana dell’aumento di capitale “garantito” della Popolare di Vicenza, ed è arrivato, o meglio tornato, Jean Pierre Mustier. Il resto è storia nota. Ora, fare come fa Pomicino, cioè di fatto dire che “Unicredit non andava poi così male, è un complotto per sbarazzarsi degli azionisti italiani”, è una lieve forzatura del flusso causale. Ma quello che è singolare, in questo paese, è che, quando le cose vanno male, si cercano disperatamente investitori arabi. Meglio loro che francesi e tedeschi. Andò così con Alitalia, stava andando così con Unicredit. Chissà perché, boh. Ma non divaghiamo.

Torna il momento della dietrologia: perché Mustier sta facendo questo mega aumento?, si chiedono i sospettosi patrioti, guidati da Pomicino. Forse la risposta sta in una metrica di capitale: se tutto andrà come da piano industriale, solo nel 2019 il Common Equity Tier 1 di Unicredit toccherà il 12.5%. Un piano molto conservativo, nello sviluppo dei ricavi. A differenza, ad esempio, di quello che Marco Morelli ha scritto qualche settimana addietro per MPS. Ma non divaghiamo. Toccare il 12,5% di CET1 nel 2019 è il minimo sindacale per rimettere in linea di galleggiamento una SIFI: questo è ciò che sfugge a Pomicino, e non solo a lui.

Ciliegina sulla torta: Mustier, che oltre a chiamarsi Jean Pierre sa pure fare molto bene il pierre, si è tagliato lo stipendio nella parte fissa del 40%, portandolo a 1,2 milioni di euro, non percepirà bonus annuali per il 2016 e per tutta la durata del piano e neppure buonuscite nel caso lasci l’incarico nella banca. Da confrontare con il package di altri condottieri per lunghi anni al timone di persistentemente dissestate banche italiane. Alcuni dei quali continuano ad essere presentati da una parte della nostra stampa come martiri dell’Era Bancaria, soprattutto dopo la loro defenestrazione. Ma non divaghiamo.

Cosa c’è sotto il mega aumento di Unicredit? Eh? Parlate! Ad esempio, perché questi maxi accantonamenti a rettifiche su crediti? Cosa c’è dietro, sotto, sopra, di lato? Noi avremmo un’ipotesi: Mustier ha deciso che i mercati andavano tranquillizzati, ed ecco le pesanti rettifiche a sofferenze e crediti deteriorati, che porranno Unicredit al top del sistema. Ma se ci sono mega rettifiche, ecco che sorge l’esigenza di una mega ricapitalizzazione. Sembra complesso, ma non lo è. Certo, si poteva anche andare avanti a trascinare i piedi sulla copertura delle sofferenze, incolpare l’Europa, la Germania, le macchie solari, il fallimento del mercato, anche per far felici gli innumerevoli Pomicini che ogni giorno mandano patriottiche letterine ai giornali. Mustier è stato più astuto: ha creato due veicoli societari per la gestione delle sofferenze, con gli specialisti di Fortress e Pimco, nei quali Unicredit avrà una quota di minoranza. In tal modo, se quelle sofferenze dovessero rivelarsi una goduria, cioè essere realizzate a prezzi ben superiori a quello di cessione, Unicredit avrà beneficio “a valle”, negli utili di quelle due società-veicolo.

La morale della favola? Eccola: no, non c’è alcun complotto contro l’Italia orchestrato da infiltrati francesi in Unicredit. Si, le fondazioni italiane hanno finito i soldi, dopo anni passati a succhiare dividendi, a costo di indebolire la banca. Sì, il “caso” Unicredit è un esempio di eclatante miopia da parte dei gruppi di controllo. Tale miopia funziona e a volte prospera se applicata a realtà domestiche: tanto, alla fine c’è sempre una Cassa Depositi e Prestiti pronta ad entrare con due spiccioli “a leva” per tenere in piedi il carrozzone, magari col concorso di qualche innocuo arabo che paga e tace, almeno nell’italica iconografia.

Ma se parliamo di realtà globali ed internazionalizzate, quando l’habitat si fa avverso, si capitola. È il solito Articolo Quinto: chi mette i soldi sul tavolo ha vinto. Con buona pace di una politica che passa il tempo a fare il power broker de noantri nel cortile di casa, riducendosi vieppiù con le pezze al culo, sin quando arriva il momento della resa dei conti. L’unica cosa che conta è che Unicredit eroghi credito e servizi a famiglie ed imprese italiane, faccia utili in Italia, paghi le tasse in Italia. E non temete: i risparmi degli italiani non sono minacciati di rapimento per essere portati in Francia o altrove. Ma vi diciamo di più: con un po’ di fortuna i risparmi degli italiani non finiranno neppure in obbligazioni subordinate e fondi immobiliari rigorosamente patriottici. Coi tempi che corrono, è già qualcosa.

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