Nei giorni scorsi, a Londra, Mediaset ha presentato il nuovo piano strategico al 2020, che prevede uno spettacolare recupero di redditività (come del resto ogni piano industriale che si rispetti), pari a 468 milioni di Ebit (Earnings before interest and taxes, una sorta di reddito operativo, inclusi gli ammortamenti). Interessante scomporre tale prodigioso recupero di redditività negli elementi costitutivi, ed inquadrare il tutto nell’ambito del contenzioso con Vivendi, per cercare di uscire dall’orticello italiano delle analisi, visioni e patriottismo.
Intanto, il punto centrale è che Mediaset Premium ed i suoi diritti calcistici stanno pesando moltissimo sul gruppo della famiglia Berlusconi. Pro futuro, basta svenarsi alle aste sui diritti calcistici, soprattutto della Champions’, per cui oggi Mediaset spende 220 milioni annui, mentre altri 380 milioni vanno alla Serie A. La redditività di questa linea di business semplicemente non c’è, per usare un delicato eufemismo. Quindi, per le prossime aste dei diritti, Mediaset parteciperà in consorzio con altri bidder, ed in caso potrebbe offrire la piattaforma Premium al vincitore. La manovra sui diritti vale 200 milioni di miglioramento di Ebit al 2020.
Altri 123 milioni di recupero deriveranno da “razionalizzazioni” interne. Il che non è male ma è forse un discreto rischio, per un gruppo che negli ultimi quattro anni ha tagliato costi per 400 milioni. Altri 90 milioni di Ebit a fine piano dovrebbero venire dall’aumento del fatturato pubblicitario. Ovviamente, parliamo di mercato domestico, su cui Mediaset ha sinora dominato. Possibile fare ancor di più, considerando che Cologno Monzese ha una quota del 56% della pubblicità televisiva italiana, a fronte di uno share del 32%? Lo scopriremo solo vivendo ma l’obiettivo è molto ambizioso, diciamo. E, manco a dirlo, in questo target la politica italiana peserà moltissimo. Allo stesso modo in cui Mediaset pesa, direttamente ed indirettamente, sulla politica italiana, da lustri. Per ora l’azienda italiana fa sapere che la distribuzione multi device della propria library (cioè l’on demand) avverrà con raccolta pubblicitaria.
Come commentare, quindi? Che il settore dei media in Europa è in piena evoluzione, con l’arrivo di potenti disrupter quali Netflix ed Amazon. Che Mediaset ha fatto il passo ben più lungo della gamba (noto segreto di Pulcinella) e si è messa in un angolo con l’onerosità dei diritti del calcio. Ha quindi cercato un Cavaliere Bianco e lo avrebbe trovato in Vivendi, a sua volta alle prese con i guai della sua pay, Canal Plus. Prima delle nozze, Vincent Bolloré si deve essere tuttavia accorto che i guai dei diritti calcistici minacciavano di tirare a fondo il Biscione, ed ha sconfessato l’accordo ma soprattutto i propri dirigenti.
Mediaset è piccola e domestica, e soprattutto domestica in un paese che boccheggia, con un mercato pubblicitario che fatica di conseguenza. Fatale pensare a forme di accordi su scala europea. Ma gli accordi paritetici sono come i merger of equals: sono creature mitologiche. Quando un settore consolida, o si è prede o si è predatori. Mediaset non ha i soldi per essere predatore. Quindi, sarebbe opportuno oltre che utile giungere ad un accordo con Vivendi basato su forme di asset swap (scambio di attività) e sinergie tra i due gruppi. Ed è possibile che quello, alla fine, accadrà. Al netto delle sceneggiate domestiche, con codazzo di politici e giornalisti a strapparsi le vesti. Vivendi eccede le soglie antitrust della Legge Gasparri? Venderà; magari la quota in Telecom Italia. E vivremo tutti felici e contenti.
C’è un’alternativa? Si: che la famiglia Berlusconi decida di scavare trincee in Italia, invocando il patriottismo. A quanto dovrebbe arrivare la quota di mercato pubblicitario italiano di Mediaset, per restare orgogliosamente indipendenti e tricolori? Mediaset è centrata sulla tv generalista, che poi è quella che si addice ad un paese di pensionati, casalinghe, disoccupati e NEET: non esattamente customer ad alto potenziale di marginalità. Quindi diremmo che il focus strategico c’è. Ironia amara ma demografia e declino sono variabili strategiche, di cui tenere conto. Per la parte di audience italiana diversa da quella sopra indicata, che poi è quella con maggior potere d’acquisto (tutto è relativo, comunque) servono molte risorse. Le strutture consortili su scala continentale possono avere senso ma, ribadiamo, anche qui vale il solito Articolo Quinto: chi mette i soldi sul tavolo, ha vinto.
Il problema, per i consumatori e contribuenti italiani, è evitare che Mediaset, “patrimonio del paese”, finisca col diventare una nostra liability. In quel caso, il patrimonio ereditario andrebbe accettato con beneficio d’inventario, ed in caso rifiutato. Perché il declino di un paese di solito è terribilmente costoso, ed in Italia minaccia di esserlo ancora di più. Alla fine, non vorremmo essere costretti a difendere Mediaset con la Cassa Depositi e Prestiti perché, “altrimenti Barbara D’Urso verrebbe rapita e portata in Francia”. Prego, vada pure, nulla osta. Preoccupiamoci solo di tenere una base imponibile in Italia: è l’unica cosa che conta.