Il caso Tar-musei è figlio di una scadente ed opaca scrittura delle norme

di Vitalba Azzollini

Egregio Titolare,

la pronuncia del Tar sulla nomina dei direttori dei musei è ormai stata vivisezionata, in punto di fatto e di diritto. Tra i migliori contributi che io abbia letto – e ne ho letti molti – segnalo quelli di Luigi Oliveri: non affronterò, quindi, i temi trattati nei suoi scritti con grande competenza.

Mi occuperò, invece, di metodo della regolazione, per verificare se quello usato per il decreto c.d. Art Bonus presenti eventuali carenze e se esse abbiano influito sui problemi evidenziati giudizialmente. Un domanda, innanzi tutto: può dirsi trasparente la procedura di predisposizione del decreto da cui originano le nomine in discorso? La “trasparenza” non è un concetto astratto ma un fine garantito da strumenti concreti mediante i quali cittadini possono sindacare le scelte del “potere”: e ne hanno ogni diritto, trattandosi di scelte compiute con le loro risorse e destinate a incidere sulle loro esistenze.

Un “iter legis” trasparente dovrebbe assicurare a chiunque la possibilità di verificare se il ministro e i “tecnici” di sua fiducia abbiano esaminato ex ante i profili essenziali di ogni provvedimento: nel caso in esame, quelli evidenziati dal Tar, dalla nazionalità italiana al sistema di selezione dei direttori. Ebbene, scartabellando virtualmente tra gli atti parlamentari a latere del decreto non si rinviene traccia di considerazioni svolte in merito alle criticità rilevate dal Tar del Lazio. I documenti in cui tali considerazioni avrebbero dovuto essere esposte, cioè quegli strumenti funzionali a garantire la trasparenza dei provvedimenti normativi del governo cui sopra accennavo, sono ormai noti a chi abbia avuto la bontà di leggere qualche mio scritto, anche su questo spazio ove Lei mi ospita cortesemente: innanzitutto – lo ripeto ad nauseam – la relazione di analisi di impatto (AIR). Invece, come usualmente accade per i decreti legge, di quest’ultima non c’è neanche l’ombra a margine del decreto c.d. Art Bonus. Ma la mancanza più importante stavolta è un’altra: quella della relazione di analisi tecnico-normativa (ATN). Il sito web del governo spiega di cosa si tratti.

“L’ATN verifica l’incidenza della normativa proposta sull’ordinamento giuridico vigente, dà conto della sua conformità alla Costituzione, alla disciplina comunitaria e agli obblighi internazionali (…) L’analisi è condotta anche alla luce della giurisprudenza rilevante esistente, sia nazionale che comunitaria…”

Chiunque abbia seguito le discussioni di questi giorni circa l’eventuale contrasto tra la normativa nazionale e quella europea, nonché circa la pronunce della Corte di Giustizia della UE e del Consiglio di Stato, relativamente alla “italianità” dei direttori dei musei, comprenderà subito che il contenuto di questa relazione sarebbe stato dirimente.

Peccato che la relazione ATN manchi, come risulta espressamente. Se ci fosse stata, chiunque avrebbe forse potuto – il condizionale è d’obbligo, considerata la (mancanza di) cura con cui i legislatori-governanti redigono certi atti – verificare in modo trasparente la “coerenza” del provvedimento con le regole e le pronunce giurisprudenziali, interne ed europee. Invece, quel “chiunque” può solo apprendere da Sergio Rizzo che esiste un parere di B. Mattarella e P. Carpentieri, a sostegno della legittimità delle scelte operate col decreto.

È utile precisare che le personalità citate hanno evidentemente concorso alla elaborazione delle norme “incriminate”, visto il ruolo che rispettivamente rivestono nell’ambito del governo: dunque, la bontà del provvedimento è attestata dagli stessi soggetti che l’hanno scritto (perché il loro parere non è stato trasfuso nelle relazioni di accompagnamento mancanti, invece di restare “extra”?). Se a ciò si aggiunge che Carpentieri è consigliere di Stato, dunque “potenzialmente giudice d’appello del medesimo Tar”, come scrive Rizzo (ma non è in aspettativa, per svolgere le proprie funzioni al ministero?), appare palese quanto il groviglio sia intricato e quanto poco trasparente sia la matassa.

Ometterò considerazioni sul parere, secondo cui, ad esempio, la volontà di “adeguare l’Italia agli standard internazionali in materia di musei” sancirebbe l’eccezione alla regola della “italianità” della dirigenza: una disposizione così generica basta a derogare a una previsione così specifica? Di nuovo, forse la relazione ATN – funzionale anche a garantire “la correttezza (…) delle tecniche di modificazione e abrogazione delle disposizioni vigenti” – avrebbe giovato alla trasparenza (e alla tenuta) della decisione assunta.

Ancora qualche riga circa la procedura selettiva utilizzata. Non mi addentro in questioni tecniche – che sono poi pure principi di buon senso – quali ad esempio la selezione a porte chiuse in un concorso pubblico, che viola “le più basilari regole di trasparenza, imparzialità e buon andamento”, come evidenziato da solida giurisprudenza. Mi limito a far notare che quanto rilevato dal TAR del Lazio era già stato evidenziato da altri.

Qualcuno aveva definito “rischioso” il sistema di selezione, auspicando che in concreto venisse temperato dalla rigorosità dei criteri di verifica della competenza ed esperienza dei candidati. Icom (International Council of Museum) aveva espressamente affermato che quel sistema era da migliorare “nei modi e nelle forme della sua obiettività e trasparenza”, lamentando “quei quindici minuti primi dedicati al colloquio con i candidati: un tempo decisamente inferiore a ogni standard di selezione, pubblica e privata” e sottolineando che “sarebbe stato anche opportuno dare immediata pubblicità alle motivazioni che hanno portato prima alla selezione delle terne, poi all’individuazione del candidato prescelto, rendendo esplicito e trasparente il modo con cui sono stati applicati i criteri previsti dal bando”. Quanto alle criticità in toto della procedura effettuata, era stato presentato un dettagliato esposto alla Corte dei Conti, del cui esito non si rinvengono evidenze.

Qualcuno lamenta gli intralci posti a un’innovazione nella giusta direzione da parte dei giudici amministrativi, i quali avrebbero dovuto supportare la volontà di cambiamento. Se il Tar avesse agito in questo modo, superando gli ostacoli legislativi e salvando così le nomine dei direttori, quegli ostacoli sarebbero comunque rimasti “vigenti” nell’ordinamento. La figuraccia internazionale, evitata in questa circostanza, sarebbe stata soltanto rimandata a data e governo da destinarsi.

Altri reputano che il Tar abbia sbagliato e che, invece, il decreto di Franceschini fosse giuridicamente saldo. Forse il ministro stesso non ne è poi così convinto, visto l’emendamento redatto (con vari errori) in tutta fretta. Quest’ultimo è teso formalmente a dare un’interpretazione autentica della volontà del legislatore, sostanzialmente a correggere il decreto: gli avverbi formalmente/sostanzialmente sono intercambiabili tra loro poiché, di fatto – ciò che più conta – l’emendamento mira ad annullare gli effetti della sentenza, salvando le nomine dei direttori. Sul punto rimando alla lettura di Oliveri, poiché rischio di deragliare dal(le buone maniere del) diritto: certi metodi “normativi” stentano a rientrarvi.

Caro Titolare, chissà come andrà a finire. Restiamo in fiduciosa attesa che tutto sia chiarito. Chiarirlo prima, legiferando meglio, nonché usando gli appositi strumenti previsti per rendere trasparenti la scelte di regolazione e accountable i regolatori, non sarebbe stato meglio?

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