di Luigi Oliveri
Egregio Titolare,
le campagne elettorali, si sa, hanno i loro metodi ed i loro temi. È fondamentale cercare di portare dalla propria parte il consenso dei dipendenti pubblici e dei sindacati. Dunque, immancabilmente in tempo di campagna elettorale si dà vita a proposte e piani potenzialmente capaci di ottenere largo consenso. E’ quello che avvenne il 30 novembre 2016, con l’accordo per il rinnovo dei contratti pubblici, contenente l’impegno di un aumento di 85 euro. Poi, non servì a nulla, il referendum fu stravinto dai no, ma il metodo ed il tema restarono e, per altro, adesso l’impegno degli 85 euro è una patata bollente della quale il Governo non sa come liberarsi.
Approssimandosi la volata per le elezioni del 2018, nella quale è fondamentale la lotta “contro i populismi”, dunque emerge un “piano” che di populistico infatti non ha nulla: assumere 500.000 dipendenti pubblici con un “concorsone”, per sostituite gli altrettanti 500.000 dipendenti pubblici che andranno in pensione da qui al 2021.
Come dice, Titolare, Le sembra di risentire la questione della “staffetta generazionale”? E sì: l’idea è appunto sempre quella della “staffetta generazionale”, che con la prima delle leggi Madia, il d.l. 90/2014, si sarebbe già dovuta realizzare, anche se non se n’è mai vista traccia.
Si afferma che occorre svecchiare la pubblica amministrazione ed assumere nuove leve, giovani, dotati di professionalità e “nativi” dell’era informatica e di internet. Giustissimo, indispensabile. Poi, si guarda un po’ a ritroso nella storia delle ultime leggi sulla pubblica amministrazione e si fa qualche conto, per capire che il piano altro non è se non un’enunciazione per captare consenso e poco altro.
Guardiamo alla storia della crisi finanziaria. Tra il 2009 e il 2010 Spagna e Grecia letteralmente lasciarono a casa tra il 5% e il 10% dei dipendenti pubblici. L’Italia, sprofondata nella crisi, riuscì ad evitare questa conseguenza, ma dovette adottare una decisione che rassicurasse Europa e mercati: bloccò drasticamente assunzioni e contratti collettivi, così da ottenere un percorso a medio lungo termine di progressiva riduzione del numero dei dipendenti pubblici e del costo del personale statale. Infatti, i dipendenti pubblici dal 2009 al 2017 sono diminuiti da 3,4 milioni a 3 milioni ed il costo complessivo da 172 miliardi a meno di 160.
Chi legiferava e governava sapeva già che tra il 2018 e il 2021 500.000 dipendenti pubblici sarebbero andati in pensione: ricordiamo che all’epoca del Governo Monti si approvò la legge Fornero e quelle stime erano ben presenti. Si trattava di produrre politiche di economia a lungo termine, per ottenere entro una decina di anni risparmi alla spesa corrente ancora più significativi. L’Italia era in grado, cioè, di ridurre drasticamente la spesa per dipendenti pubblici, senza licenziamenti traumatici.
Adesso, a ridosso della prima tranche di pensionamenti di massa, si pensa che quel quadro economico si sia modificato e che sia possibile una sostituzione dei pensionati pubblici in un rapporto di uno a uno e, quindi, ringiovanire l’apparato pubblico di 500.000 dipendenti.
Però, non solo la storia recente, ma anche i conti vengono al pettine. È noto, dai dati del Conto annuale del personale, che il costo medio di un dipendente pubblico è 34.000 euro l’anno. Basta allora moltiplicare questa cifra per 500.000 e scoprire che il piano del “concorsone” costa 17 miliardi di euro. Escludendo dalla media magistrati ed alti dirigenti, il costo medio annuo pro capite sarebbe di 30.000 euro l’anno; in ogni caso, quindi, il piano non costerebbe mai meno di 15 miliardi l’anno.
Ora, Titolare, il Governo sta facendo una fatica matta per reperire 1,2 miliardi (altri 1,2 li dovrebbero trovare regioni ed enti locali) per pagare la cambiale dell’accordo coi sindacati del 30 novembre 2016 ed assegnare gli 85 euro di aumenti ai dipendenti pubblici, ma elabora un piano per assumere 500.000 dipendenti pubblici e spendere 17 miliardi (una manovra finanziaria) l’anno per i prossimi 40 anni.
Quanto è credibile, quindi, il piano? Sarà il Documento di Economia e Finanza a farci capire meglio le cose. Se vedremo un incremento della spesa del personale di 17 miliardi circa a regime a partire dal 2021, allora il piano non è solo un proclama.