Al netto del ridicolo e dell’inaffidabilità, abbiamo ragione

Pare che oggi si imponga un commento ed un’analisi delle parole di Yoram Gutgeld, zar della spending review, che ieri in un paio di tweet da Asilo Mariuccia ha duramente rampognato il finlandese Jyrki Katainen, vicepresidente della Commissione Ue, che aveva detto, in modo un po’ bizzarro, che “la situazione in Italia non sta migliorando”, e che “la gente merita di conoscere la situazione per poi decidere liberamente ciò che vuole decidere”. Sono bastate queste parole per provocare lo sdegno patriottico di mezzo paese, soprattutto ora che l’inno di Mameli è diventato ufficialmente il nostro inno nazionale. Un’analisi più ravvicinata del contesto permette di dire che si tratta di molto rumore per poco e nulla.

Intanto, Katainen si riferiva al fatto che l’Italia, dopo aver negoziato uno sconto sulla correzione del deficit strutturale, che nel 2018 dovrebbe ridursi dello 0,3% e non dello 0,6%, ha mandato a Bruxelles una legge di Bilancio che pare preveda una correzione di solo lo 0,1%. La canzoncina la conoscete: per gli italiani il saldo strutturale di bilancio è un sarchiapone, perché contestiamo i criteri di misurazione del Pil potenziale e dell’output gap, cioè della distanza dal pieno impiego. Il punto però è altro: se si ottiene uno sconto sul percorso di correzione, e questo sconto è frutto di un negoziato politico con la Commissione in cui, tra le altre cose, si prende atto anche dell’evanescenza del concetto di Pil potenziale, presentarsi con un’ulteriore riduzione, non negoziata, è un pessimo modo di agire ed un danno reputazionale non lieve. Questo è il punto.

Invece pare che il nostro governo abbia deciso di sfidare le convenzioni minimali, e di presentarsi con un buco aggiuntivo di circa 3 miliardi. Che sarà alla fine colmato. Veniamo alle parole di Gutgeld, intervistato da Federico Fubini. Su Katainen, dice l’esponente Pd:

«Guardiamo i risultati. È stato premier in Finlandia fra il 2011 e il 2014. In quel periodo il Pil del suo Paese scende del 2,7%, il debito sale di 11,7% e la spesa pubblica cresce dell’11,5%, il 3,7% del Pil in più. Un campione di austerità»

Ora, noi proviamo un sincero imbarazzo per Gutgeld, che peraltro con questa frase fa ricadere sul nostro paese una pesante cappa di ridicolo. Si potrebbe ricordare che, negli anni in questione, la Finlandia subì un pesantissimo shock negativo di offerta che si sommò alla posizione fiscale restrittiva della Ue. Peraltro, la Finlandia aveva spazio fiscale per permettersi di non attuare una stance pro-ciclica di politica fiscale, e quanto accaduto dal 2015 in avanti mostra che il paese ha prontamente riassorbito quell’allentamento fiscale causato dall’operare degli stabilizzatori fiscali. Ma spiegare queste cose ha assai poco senso, vista la strada che Gutgeld ha deciso di percorrere. Che è quella che porta dritto all’asilo.

Proseguendo in questa direzione, Gutgeld fa notare che noi siamo più virtuosi della Germania, caro lei:

«[…] il costo della macchina pubblica italiana (al netto delle pensioni e degli interessi), quest’anno sarà dell’1% del Pil sotto quello della Germania»

Certo, “al netto delle pensioni”, soprattutto. Questa è la nota “scuola del carciofo” di Marco Fortis: al netto di tutto, noi siamo migliori degli altri. E di purissima scuola Fortis è anche la visione della produttività che Gutgeld esibisce:

La produttività resta piatta. E una ripresa passeggera?
«La questione della produttività c’è in tutto l’Occidente. In Italia anche, ma mi pare secondaria rispetto al fatto che da noi lavorano troppe poche persone, anche se negli ultimi quattro anni abbiamo avuto un milione di posti di lavoro in più, con il ritmo di creazione di posti più alto da quando ci sono i dati. C’è stato un miglioramento di due punti del tasso di partecipazione al lavoro, ma restiamo molto sotto alla media Ue. La sfida è far sì che più persone lavorino. Poi c’è il tema della produttività, certo»

A dirla tutta, la produttività italiana è in calo, quella degli altri paesi dell’Occidente mediamente cresce, anche se meno che negli anni passati. C’è un dibattito accademico (ma suscettibile di ampie ricadute) circa la possibilità che la produttività sia misurata correttamente, nell’era della digitalizzazione, ma è ben altro paio di maniche. Ed è del tutto singolare che Gutgeld veda la necessità di mettere al lavoro quante più persone possibili, e che la produttività sia vista come l’intendenza napoleonica: seguirà. Non è esattamente così, e non è più così nemmeno nelle autocrazie rurali del Sud Est asiatico, peraltro estintesi da molto tempo. Una frase di questo tipo pare suggerire che Gutgeld non padroneggi i fondamenti della scienza economica.

Il punto centrale, quello sul quale il governo italiano sta giocandosi tutto (e noi cittadini con lui) è però quello della riduzione del rapporto debito-Pil, che mai come ora è apparsa vicina:

«Con il deficit al 1,6% del Pil nel 2018, il rapporto debito-Pil scende con una crescita nominale sotto il 2%. Che il debito inizi a scendere è indubbio, la velocità dipenderà dall’inflazione. Se questo raggiunge l’obiettivo della Bce del 2%, noi con una crescita reale fra 1,5-2% e il deficit all’1,6% faremo calare il debito di oltre tre punti l’anno»

Questi numeri sono corretti. C’è l’incognita di cosa accadrà se e quando si materializzeranno. Io temo che avremo torme di postulanti alla porta, per “redistribuire il tesoretto”. Lavoratori usurati a 50 anni, altri forestali calabresi, bonus carta igienica, e un trenino elettrico. Ma di questo parleremo se e quando accadrà. Se questi numeri prenderanno corpo, potremo persino aderire al Fiscal Compact versione originaria (mai applicato), e avviarci a ridurre in modo del tutto indolore di un ventesimo l’anno l’eccedenza del rapporto debito-Pil rispetto alla soglia del 60%.

Che dire, quindi? Alcune cose:

  1. Katainen è stato ruvido e piuttosto sopra le righe, perché in Italia al momento c’è un’espansione economica confortante;
  2. L’Italia, violando gli accordi con la Commissione, che già incorporavano uno sconto sulla riduzione del deficit-Pil strutturale, si autoinfligge un danno reputazionale e di credibilità che la nostra storia non ci consente;

Gutgeld fa propaganda e argomenta in alcuni momenti con una lucidità inferiore a quella di un partecipante ad una festa di addio al celibato, nella fase finale dell’evento. L’attesa di un calo del debito è messianica, possiamo solo sperare di vedere a breve quel fausto giorno. Ma le nostre fragilità strutturali sono tali da imporci un sentiero stretto, come ben evidenziato da Padoan. Sarebbe bene non scordare mai questo concetto. Di questa singolar tenzone potremmo dire, ricorrendo alle categorie analitiche di scuola fortisiana, che al netto del ridicolo e della nostra inaffidabilità, abbiamo ragione.

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