I patrioti della leva perduta

Ieri, in Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche, hanno deposto due sostituti procuratori di Milano, Stefano Civardi e Giordano Baggio, che hanno indagato sulla banca nel 2011-12 e dall’estate 2014. L’aspetto più interessante della deposizione è l’identificazione delle cause immediate di crisi della banca senese, che ci offre l’occasione per qualche altra considerazione spicciola.

Intanto, i derivati Alexandria e Santorini non sono la causa della crisi ma l’effetto, nel senso che quelle operazioni servivano ad occultare perdite formatesi altrove ed in altro modo. Banale ma sempre utile sentirlo ripetere da soggetti autorevoli e credibili. Come ha osservato Civardi,

«La crisi di Mps va incorniciata in una crisi di sistema: Mps aveva tanti titoli di Stato, una quota doppia rispetto alle altre banche ed è chiaro che quando scoppia a fine 2010 il problema del debito sovrano soffre più delle altre. Gli Npl sono un altro capitolo importante della crisi del Monte: quando un sistema è in crisi i soggetti che ho finanziato non mi ripagano più. Quindi ci sono con ogni evidenza cause strutturali che con Santorini e Alexandria non c’entrano nulla»

Andiamo con ordine. I troppi titoli di stato: è vero, vale per la media del sistema bancario italiano e valeva ancor di più per MPS, che sui titoli di stato italiani andava pure a leva per occultare problemi con la gestione creditizia caratteristica, derivanti da politiche di credito non esattamente smart. Ricordo un’intervista trionfante a Giuseppe Mussari, in cui il medesimo scolpiva: “La banca faccia la banca”. Magari, signora mia. E se lo si sapesse anche fare, sarebbe meglio. Altrimenti poi scoppiano gli Npl ed è colpa della recessione e dei tedeschi, con codazzo di burocrati bruxellesi.

Ma a parte queste rimembranze e questi precetti alla Catalano, che valsero al loro autore la prestigiosa presidenza del sindacato dei banchieri italiani, pensate al rischio di banche strapiene di titoli di stato, in caso di crisi sovrana. L’effetto MPS su scala nazionale, in pratica. Troppo difficile da comprendere? Pare di sì, vista la caparbietà con cui i nostri eroi difendono l’assenza di diversificazione nel portafoglio titoli delle nostre banche.

Giù le mani dai nostri patriottici titoli di stato! Devono stare in portafoglio a banche ed assicurazioni. Perché questo è il vincolo di portafoglio che tiene in piedi il paese. E se qualche straniero si azzardasse a comprare banche ed assicurazioni italiane, servirà il Golden power per evitare che il risparmio degli italiani riduca l’investimento in titoli di stato tricolore. Quando scoppierà il prossimo casino, segnatevi questo piccolo punto, mi raccomando.

Nel frattempo, ieri la Commissione Finanze del Senato è tornata a lavorare sulla risoluzione con cui il nostro paese concorrerà alla revisione della disciplina del bail-in, da inviare a Bruxelles entro giugno. Nella bozza di documento è presente anche la richiesta di mantenimento del trattamento favorevole delle esposizioni verso il debito sovrano nel calcolo del rischio di credito. Quindi, niente tetto al possesso di titoli di stato, come invece richiesto dai perfidi tedeschi, e conferma dell’assorbimento zero di capitale di vigilanza. Con queste premesse, i nostri eroi continueranno a chiedere alla Ue l’Unione bancaria, quella in cui i contribuenti degli altri paesi dovrebbero pagare per i Btp presenti nei portafogli delle banche italiane. Altrimenti sono degli egoisti e si prenderanno le rampogne di Giulio Sapelli e di qualche genietto incompreso d’accademia che suggerisce di credere, obbedire, stampare.

Però, dai, non tutto il male viene per nuocere: pensate se fosse in vigore l’unione bancaria piena e solidale, ed accadesse qualcosa ai famosi derivati-strutturati presenti nelle banche tedesche. Ognuno per sé, eccetera. Agli investitori la scelta dei panieri dove mettere le proprie uova.

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