di Vitalba Azzollini
Il crollo del ponte Morandi ha dimostrato quanto sia necessario un alto livello di attenzione sulle concessioni pubbliche, in particolare su quelle del settore autostradale. Ciò trova da ultimo conferma nell’indagine svolta dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) tra il 17 maggio e il 30 settembre 2017, pubblicata il 17 ottobre di quest’anno, tesa a raccogliere dati e informazioni per un “censimento” di tutti i titolari di concessioni non affidate con procedura di evidenza pubblica, ai fini di successivi controlli. Da tale indagine emergono risultanze che lasciano perplessi: considerata l’importanza del tema della qualità e dei prezzi cui i servizi pubblici vengono erogati, è il caso di darne conto.
Ad esempio, per il settore del gas l’Autorità rileva che un numero di concessionari relativamente contenuto fornisce il servizio per un numero elevato di enti locali. Il fenomeno – osserva l’ANAC – sembra da porsi in relazione con l’ingente numero di concessioni scadute nel settore del gas (n. 3.728 su un totale di n. 5.142): nonostante la normativa preveda da tempo che i concessionari vadano individuati mediante procedure ad evidenza pubblica e che le gare siano avviate almeno un anno prima del termine, da diversi anni non ne vengono effettuate e, pertanto, le concessioni sopravvivono con proroghe sistematiche.
La situazione descritta causa “una sorta di dumping e, quindi, il rovesciamento delle norme sulla concorrenza”: pochi gruppi di grandi dimensioni svolgono il servizio di distribuzione del gas, “determinando alcuni monopoli di fatto”. In altri termini, un numero ristretto di soggetti può incidere sulle tariffe applicate agli utenti finali. E “quanto evidenziato per il settore del gas non può essere escluso con riferimento anche ad altri settori”.
L’ANAC sottolinea, inoltre, che i dati dichiarati dai concessionari nel corso dell’indagine, specie nel comparto dell’energia, non sono stati verificati in concreto dai concedenti, alcuni dei quali “non certo secondari per importanza economica ed estensione”: essi si sono limitati a una mera “presa d’atto”, che non attesta una loro puntuale attività di controllo.
Tra i rilievi dell’ANAC ce n’è poi uno in particolare che va posto in risalto, ma serve una premessa: il Codice degli Appalti dispone che i titolari di concessioni non assegnate con gara affidino una quota pari all’80% dei contratti di lavori relativi alle concessioni stesse mediante procedure ad evidenza pubblica (art. 177). All’ANAC spettano compiti di controllo anche perché, in caso di sforamento, la percentuale indicata va ripristinata entro l’anno successivo e se lo squilibrio è reiterato per due anni consecutivi viene applicata una penale pari al 10 per cento dell’importo dei lavori che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica.
La disposizione contiene una deroga speciale: il limite dell’80% di lavori da mettere obbligatoriamente a gara è ridotto al 60% per i soli concessionari autostradali. Ne consegue che essi possono svolgere in house una percentuale di lavori maggiore rispetto a tutti gli altri concessionari. Come già spiegato un anno fa circa, la deroga a favore di tali soggetti rivela un’incoerenza normativa non di poco conto. Infatti, l’obbligo di assegnare in via concorrenziale i lavori relativi alle concessioni ha lo scopo di recuperare “a valle” il deficit di competizione “a monte”, derivante cioè da concessioni affidate e/o prorogate senza gara: ma proprio per le concessioni autostradali, quasi totalmente affidate e/o prorogate senza gara, il limite di lavori da svolgere in concorrenza è inferiore rispetto a tutti gli altri. La deroga è, dunque, particolarmente inquietante.
E parimenti inquietanti erano le anche stravaganti interpretazioni a proprio favore che i destinatari della citata disposizione volevano fossero date circa le percentuali da rispettare, il computo del periodo necessario al riequilibrio e altro. Le risultanze dell’indagine dell’ANAC aumentano l’inquietudine, se ancora ve ne fosse bisogno. Da esse emerge non solo che vi sono divergenze tra i dati forniti da concedenti e da concessionari circa “valori” e “percentuali” di contratti da affidare con procedure di evidenza pubblica, ma soprattutto che tra i soggetti i quali “hanno dato luogo alle incongruenze più vistose spiccano i concessionari autostradali”. E “il massimo scollamento nei dati esaminati si è verificato con riferimento a quelli dichiarati dal Concessionario ASPI e dal Concedente MIIT” (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti).
Cosa dimostra per l’ANAC tutto questo? Dimostra che “vi è stato sino ad oggi un deficit di controlli sistematici del Concedente sulle attività del Concessionario, dovuto, a seconda dei casi, sia a una scarsa consapevolezza del ruolo sia a schemi di convenzioni troppo risalenti”. In un Paese che aspetta si verifichino disastri – in ogni senso – prima di acquisire sensibilità su regole violate, controlli non effettuati e molto altro, le osservazioni dell’Autorità risultano oltremodo rilevanti.
L’ANAC, in conclusione – sottolineando “la presenza di fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di applicazione distorta della normativa di settore” – “segnala” la necessità di “un intervento volto a sollecitare l’affidamento tramite procedure ad evidenza pubblica (…) delle concessioni scadute”; ma anche la necessità di richiamare l’attenzione dei concedenti sulla verifica del rispetto dei limiti percentuali suddetti, nonché sulla rivisitazione delle concessioni in essere, “esercitando anche le proprie prerogative di monitoraggio dei rispettivi concessionari”.
A chi è rivolta la “segnalazione” dell’Autorità? Al Governo e al Parlamento. E siamo sicuri che questi soggetti, per quanto di rispettiva competenza, provvederanno sollecitamente a dare seguito ai richiami dell’ANAC nel modo più efficace, al fine di sanare le situazioni di illegalità createsi negli anni scorsi e oggi perduranti? Più che sicuri, “stiamo sereni”: è il modo migliore per dirlo.
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Un concedente distratto o depauperato di competenze specialistiche per disegnare la concessione in modo da massimizzare il benessere per la collettività: questo è lo “stato dell’arte” in Italia. Non si sa se questo sia causa della cattura regolatoria, che col passare del tempo ha privato di denti la pubblica amministrazione o se piuttosto ne sia l’effetto, ma conta poco, ai fini della valutazione di quello che è e resta un contesto desolante. Se volessimo tendere ad una chimera chiamata “messa a gara”, è imprescindibile tornare ad avere una pubblica amministrazione in grado di compiere il “mestiere” di concedente. (MS)