C’era grande attesa, per usare un eufemismo, per le parole di Mario Draghi ieri dopo il meeting del Consiglio direttivo della Banca centrale europea. La domanda era sempre quella: quale coniglio Ogm uscirà stavolta dal cilindro? Quali attivi verranno acquistati, alla ripresa di un Quantitative easing che era stato avviato a chiusura subito prima che la congiuntura tornasse a deteriorarsi? Per il momento, si attende settembre. Ma la Bce potrebbe avere le polveri bagnate, e non solo per l’imminenza dell’uscita di Draghi.
Draghi ha ribadito l’invito agli stati a mettere in campo la politica fiscale, ma qui ricadiamo negli “egoismi” nazionali e nella reciproca diffidenza, perché ci sono paesi che sarebbero giocoforza esonerati da questa espansione fiscale, come l’Italia. Difficile (oltre che umanamente comprensibile) pensare che un elettore tedesco, almeno sin quando non colpito da una recessione specifica al proprio paese, possa vedere di buon occhio la produzione di deficit aggiuntivo per “dare una mano agli italiani”.
So che questo è ragionamento piuttosto rozzo e che non tiene in conto il fatto che l’Eurozona è un monoblocco economico ad altissima interdipendenza, ma se pensate che l’opinione pubblica tedesca e dei paesi fiscalmente virtuosi argomenti in modo grossolano e miope, provate con l’opinione pubblica italiana.
Draghi, e non solo lui, da tempo sostiene che la politica monetaria più di tanto non può fare, ed ha perfettamente ragione. Ma di fronte ad un’area segmentata come l’Eurozona, difficile che qualcosa possa davvero cambiare, a meno di una profonda recessione che non lasci isole felici o almeno tranquille.
E mentre attendiamo di vedere all’opera le doti politiche di Christine Lagarde, sul tappeto continuano a restare solo opzioni monetarie non convenzionali. Draghi ha detto che verranno studiate nuove modalità di acquisti da parte della Bce, oltre a forme di “mitigazione” del danno inflitto alle banche commerciali da tassi negativi e destinati a diventarlo ancora di più.
Quanto agli acquisti, c’è il problema dei limiti su singola emissione e paese. I Bund tedeschi sono già su tali limiti, e alzare la soglia non farebbe che accentuare le distorsioni. Si potrebbero inserire anche emissioni sub-sovrane, come il debito dei Laender tedeschi, ed anche in questo caso qualcuno potrebbe chiedersi quale sarebbe il beneficio di un nuovo QE. A parte spingere ad una affannosa ricerca di rendimenti che porterebbe la rischiosità dei portafogli verso forme estreme, spesso tenendo in vita degli zombie divenuti star nell’emissione di bond spazzatura.
Su tutto, resta la domanda naïf per eccellenza, quella che potrebbe fare Forrest Gump: ma che c’entrano tassi bassi con protezionismo e Brexit? Poco e nulla, in effetti. Tassi sempre più negativi rischiano poi di essere ribaltati dalle banche, per esigenze di sopravvivenza, sui conti correnti anche del retail. Oppure potrebbero aumentare il costo dei prestiti, e l’effetto sarebbe perverso e paradosso.
I correntisti potrebbero allora decidere di prelevare contante e tenerselo in casa, soffocando ulteriormente l’economia. Né si deve sottovalutare il valore segnaletico di nuovi interventi monetari eterodossi. Gli investitori potrebbero giungere alla conclusione che le cose vanno male e non ci sono strumenti in grado di risollevarle, e sarebbe l’inizio del panico sui mercati finanziari e a ruota sull’economia reale, ricordando che viviamo in quell’epoca straordinaria in cui il motto “non combattete la Fed” potrebbe non essere più valido.
Che fare, quindi? La risposta temo non l’abbia davvero nessuno, al netto delle rassicurazioni pubbliche. Ogni unità di stimolo aggiuntivo produce rendimenti decrescenti, cioè minore impulso espansivo, ma distorsioni (potenziali ed attuali) crescenti. Tra le proposte lette in questi giorni, abbiamo notato quella del Chief investment officer del reddito fisso di BlackRock, Rick Rieder, che suggerisce di comprare azioni, “come il Giappone”, dove la banca centrale compra Etf del mercato domestico.
A parte i consigli non esattamente disinteressati del maggiore asset manager mondiale, riguardo al problema dei tassi negativi, un recente paper del FMI suggerisce che la Bce protegga i piccoli depositanti, rimborsando loro i tassi negativi. Applicato a saldi di conto sino a 5.000 euro, la misura costerebbe all’istituto di Francoforte circa 15 miliardi per ogni punto percentuale di tassi negativi, proteggendo anche il conto economico delle banche.
Per evitare l’aumento di domanda di banconote, la Bce potrebbe inoltre applicare una commissione alle banche che le richiedono, e queste ultime potrebbero traslare l’onere sui clienti finali con una commissione sui prelievi. Di questo passo, il contante diverrà molto costoso.
Il tutto, ribadiamolo, tacendo delle distorsioni che fatalmente sorgono quando una banca centrale si mette in pancia attivi del settore privato, e dei rendimenti decrescenti dello stimolo monetario. Auguri a Christine Lagarde, quindi: ne avrà molto bisogno.
P.S. Qualcuno potrebbe chiedersi perché questa fissazione delle banche centrali a raggiungere un tasso d’inflazione attorno al 2%. In fondo, con valori persistentemente inferiori a quella soglia, abbiamo disoccupazione ai minimi storici in molti paesi. Credo che la risposta risieda nel timore che le aspettative inflazionistiche degli agenti economici possano disancorarsi e divenire esplicitamente deflazionistiche. In quel caso, l’onere reale del debito rischierebbe di divenire insostenibile, causando ecatombi di fallimenti.
Se le cose stanno in questi termini, però, è difficile non vedere all’opera un demoniaco circolo vizioso fatto di tassi sempre più bassi per tenere in vita sempre più debitori, che si sono indebitati grazie all'”occasione” di tassi sempre più bassi. Ne usciremo, possibilmente vivi?