Tra scacchiera e teatrino, perde il Paese
di Vitalba Azzollini
Queste giornate segneranno la soluzione, in un modo o nell’altro, della situazione politica in atto. In attesa di conoscerne l’esito, può essere opportuno mettere alcuni punti fermi sulla vicenda in corso e sui suoi protagonisti, per capire come siamo arrivati a questo punto e se davvero serviva arrivarci.
La crisi si è aperta “politicamente” – “formalmente” occorrono le dimissioni del Presidente del Consiglio – con la conferenza stampa di Matteo Renzi. Erano settimane che se ne respirava l’aria, ma mancava un atto che la facesse deflagrare. L’uscita di due ministre e un sottosegretario di Italia Viva dal Governo ne ha segnato l’inizio.
Ci sono almeno cinque profili critici nell’avvio di questa crisi, che non era vietato provocare, ma che – da qualunque parte la si guardi – comporta più costi che benefici non solo per chi l’ha causata, ma per tutti.
Il tempo
Innanzitutto, c’è un problema di tempo, anzi, di perdita di tempo. Il fatto che l’attenzione delle forze politiche sia impegnata nella soluzione del problema e nella gestione delle sue conseguenze significa che energie e risorse sono distolte dal contrasto alla pandemia. È sempre necessario far emergere ciò che non funziona nell’azione di governo, anche quando si è nella maggioranza, arrivando pure a decisioni “forti”. Ma in epoca di pandemia, più che in altri momenti, serve che ogni scelta sia connotata da una strategia precisa, da una traiettoria: si deve sapere dove si sta andando e come ci si vuole arrivare.
Non si possono improvvisare le mosse a seconda di come si mettono le cose, in base a mera convenienza. Eppure, in conferenza stampa è sembrato che Renzi non avesse chiara la meta: avrebbe dovuto chiarirla agli altri, ma forse non la conosceva nemmeno lui. Tra le altre cose, l’ha dimostrato il suo tentativo di “ricucitura” qualche giorno dopo, con quello stesso Presidente del Consiglio cui aveva rivolto pesanti accuse, tra le quali quella di aver creato un “vulnus” alle regole democratiche. Se l’obiettivo della rottura era comunque arrivare a un’intesa, la rottura poteva essere evitata, tanto più che Conte aveva già accolto richieste di Italia Viva sui fondi europei. Ora pare che Renzi voglia addirittura restare nella stessa maggioranza. “Much Ado About Nothing“?
Il tempismo
In secondo luogo, c’è un problema di tempismo. Renzi ha contestato – oltre a molto altro – l’uso di Dpcm, che tuttavia vanno avanti da febbraio 2020. Peraltro, il potere di Conte di emanare decreti non nasce dal nulla, ma è consentito al Presidente del Consiglio dal Governo mediante decreti-legge, convertiti in legge dal Parlamento, con il voto anche di Italia Viva. Renzi ha anche stigmatizzato la mancata richiesta dei fondi del Mes per spese sanitarie, essenziali in un momento come questo. Tuttavia, sarebbe stato meglio condurre un’azione forte, come quella attuale, nei mesi scorsi, quando quei fondi avrebbero potuto essere utilmente usati per un’efficace campagna vaccinale.
Stessa osservazione potrebbe farsi sul tema delle scuole. Il leader di Italia Viva – che proponeva di riaprirle sin dalla primavera scorsa – avrebbe dovuto assumere posizioni più risolute già da ottobre, quando era stato chiaro quale sarebbe stato l’andazzo, fra le decisioni del Governo e quelle dei Presidenti di Regione. La norma di un decreto-legge autorizza questi ultimi ad adottare misure più restrittive di quelle prese a livello centrale. Eppure non risulta che Italia Viva abbia mai chiesto che quella norma fosse rivista e il suo utilizzo in qualche modo limitato.
Il disorientamento
In terzo luogo, c’è un problema di disorientamento. Le persone non hanno capito perché, mentre ogni attenzione dovrebbe essere dedicata a sconfiggere il virus, si deve prestare attenzione a questioni politiche la cui importanza è percepita come sicuramente inferiore alla salute collettiva. Ciò che gli italiani hanno colto della vicenda in corso non sono tanto le differenze di vedute sull’impiego dei fondi europei, sull’utilizzo dei Dpcm o altro, ma le bizze politiche tese a trarre qualche vantaggio e le successive giravolte tattiche per non uscire dal gioco. Se in passato a Renzi si era perdonato di “fare Renzi”, in epoca di pandemia si dubita che la capacità di perdono sia la stessa.
L’immagine
In quarto luogo, c’è il problema dell’immagine che l’Italia dà ai partner europei, ancora una volta. Già il Paese è noto per l’instabilità dei propri governi, ma non si sarebbe potuto immaginare che si esibisse in una crisi nel momento in cui sta per ricevere dall’Europa un attestato di fiducia come l’erogazione di un’ingente mole di denaro, qual è il Recovery Fund. Peraltro, l’Unione Europea sa bene che la turbolenza in atto potrebbe sfociare in nuove elezioni, prima del semestre bianco, e alto è il rischio che a vincere possa essere la destra anti-europeista. Lasciare a quest’ultima la gestione dei fondi UE non lascia sereni molti Stati membri.
La forza contrattuale
Infine, c’è un problema di incidenza, cioè di forza “contrattuale”. Partendo dal presupposto che l’azione di Renzi sia finalizzata al bene del Paese, possono nutrirsi dubbi circa il fatto che egli potrà esercitare la propria influenza in modo più efficace stando all’opposizione anziché in maggioranza. In questi mesi è stata palese l’opera di pungolo per il Governo svolta da Italia Viva, e la dimostrazione più evidente è stata la revisione del Recovery Plan nazionale. Per far reggere l’alleanza Conte non ha mai potuto ignorare le pressioni del movimento renziano, anche quando mostrava di non farlo: quella pressione ha fatto sì che tutto si tenesse, come si suol dire. Si dubita che le medesime pressioni fatte da un partito di opposizione che conta circa il 3% potranno avere lo stesso peso.
Questione di credibilità
Come detto, sembra che Renzi non abbia ben valutato strategia, azioni e conseguenze, tant’è che ha fatto ex post una sorta di retromarcia – come detto – e non è la prima volta. Ciò ha nuociuto, e continua a nuocere, alla sua credibilità non meno di certe affermazioni, come ad esempio la stigmatizzazione in conferenza stampa della politica via social, quand’è noto che Renzi l’ha inaugurata.
La credibilità “se uno non ce l’ha non se la può dare”, e gli altri protagonisti politici non hanno credibilità maggiore. I Cinque Stelle erano partiti come oppositori dei giochi di palazzo, dei quali ora sono divenuti esperti, come sostenitori del vincolo di mandato, che se fossero riusciti a inserire in Costituzione avrebbe precluso le giravolte di queste ore. E il Pd non ha brillato per politiche credibili – appunto – e strutturate, come ci sarebbe aspettati da un partito che ha una tradizione: il piano di spesa dei fondi europei, inconsistente e fumoso nella prima versione, ne ha costituito dimostrazione. Circa la credibilità della destra, basti dire che sguazza in quanto sta accadendo, avendo come unico obiettivo quello di andare a elezioni e avere Salvini a capo del Governo, con buona pace di altre e più elevate considerazioni.
E adesso dai fatti si passa alla narrazione, con cui ognuno degli attori prova a dare all’altro la colpa delle criticità di queste ore. Ma con la narrazione non si governa. Qualora questo esecutivo andasse avanti con un qualche sostegno, avrebbe la forza che serve per prendere decisioni cruciali per il Paese? Se la pandemia è come una guerra, dopo la guerra serve ricostruire. Basterà rinominare come “costruttori”, con un’aura di nobiltà, quelli che fino a prima erano definiti come “transfughi” o “volta-gabbana”?
Tralasciando gli aspetti di personalità, e dopo averlo visto all’opera per alcuni anni, mi pare di poter concludere che il maggior problema di Matteo Renzi (quello definitivo, anzi) sia lo iato tra proposizioni ideali, da cui discendono le strategie, e condotta tattica. Problema, ho detto? No, una vera maledizione. Un marziano appena atterrato in Italia concluderebbe, sentendolo parlare, che ha ragione da vendere. I problemi, per il marziano, sorgerebbero se si trattenesse nel nostro paese abbastanza a lungo per vedere Renzi passare dai proclami ai fatti. (MS)
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