Smart working a ore, il tornello in tinello

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

questi pixel non vorrebbero annoiare i lettori tornando per l’ennesima volta sull’argomento dello smart working in particolare nel lavoro pubblico, ma il fatto è che gli spunti per affrontare l’argomento non finiscono mai. E non finiscono mai di stupire.

Arriviamo al dunque. Il lavoro agile ha avuto di recente una sua definizione normativa, volutamente non troppo specifica, per lasciare spazio alla contrattazione. Alcuni punti fermi, tuttavia, la normativa li pone. Leggiamo quanto dispone l’articolo 1, comma 1, primo periodo, della legge che appunto regola lo smart working, la legge 81/2017:

Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Smart working per obiettivi

Come dice, Titolare? Per una volta sembra di trovarsi di fronte ad una regola di piana lettura e non troppo ossessiva nel disciplinare i minimi dettagli? Effettivamente, si ha questa impressione. Sembra abbastanza evidente che:

  1. lo smart working va promosso laddove consenta di aumentare (e, quindi, non ridurre) efficienza e produttività;
  2. lo smart working è – anche – contestualmente una modalità di espletamento dell’attività lavorativa utile per conciliare vita e lavoro;
  3. elemento necessario del lavoro agile sono gli obiettivi da raggiungere, come conseguenza, da un lato, della necessità che tale modo di svolgere la prestazione lavorativa non pregiudichi la competitività, ma anzi la favorisca e, dall’altro, la riparametrazione della controprestazione del lavoratore, che passa dalla messa a disposizione del datore di un “tempo”, alla realizzazione di specifici risultati.

Infatti, Titolare, il Ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, ha certamente criticato in maniera fondata lo smart working “emergenziale”, quello avviato da un giorno all’altro senza che nemmeno gli enti disponessero di reti sicure e di strumenti (chiesti “in prestito” ai lavoratori, ricorda?) e svolto da casa.

Misurare produttività e risultati

In molti casi, e per molti mesi, lo smart working si è trasformato in un “home working”, carente di molti degli elementi costitutivi del lavoro agile “vero”, quello definito dalla legge sopra richiamata. Soprattutto perché non di rado sono mancati gli obiettivi. Sì, Titolare: il vero problema dello smart working nella PA non è il mancato contributo al Pil del panino, ma la solita e perenne incapacità di misurare la produttività ed i risultati, purtroppo non risolta nemmeno dalla riforma Brunetta 1.0, quella del 2009, tanto declamata e propagandata, quanto inefficace sul punto.

Dunque, non è senza ragione che il Ministro, lo scorso 8 settembre abbia esposto sui giornali le ragioni del dietrofront sullo smart working:

Smart working all’italiana

Insomma, se mancano gli obiettivi, si resta prigionieri del cartellino e dei tornelli, senza aver ben chiaro chi faccia cosa tra una strisciatura di badge e un’altra.

Contrattazione e obiettivi

Dunque, Titolare, con i recenti decreti che hanno posto fine (ma, in che misura? Saperlo…) al lavoro agile nella PA e con l’avvio della contrattazione nazionale collettiva, si sta ponendo rimedio all’assenza della precisazione degli obiettivi, così da avere un lavoro agile “vero”, misurabile ed efficacia, tanto da poter estendere la logica di produttività che dovrebbe stare dietro perfino alla forma di “lavoro in presenza”?

Sorprendentemente (ma, conoscendo l’andamento delle cose, forse no), le cose sono messe in modo assolutamente differente.

Come dichiarato dal presidente dell’agenzia per la contrattazione (Aran), la piega che sta prendendo per via contrattuale la regolazione dello smart working pare divergere di 180 gradi, rispetto alle indicazioni della legge e del Ministro:

“L’idea è quella di sfruttare l’esperienza fatta anche in alcuni rami della pubblica amministrazione durante il lockdown. “Io sono un po’ burocrate come dice Brunetta, però mi piace anche innovare, non ho paura di farlo. Ed è vero che c’è la legge del 2017 ma secondo me non è scritto da nessuna parte che non ci può essere una modalità di lavoro da remoto che non è strettamente collegata agli obiettivi invece che agli orari di lavoro”. D’altra parte, osserva Naddeo, bisogna ammettere che il modello per risultati in alcuni casi può essere difficile da applicare. “A volte non è semplice individuare gli obiettivi da attribuire a ogni lavoratore per ciascun accordo individuale. E se l’amministrazione questi obiettivi non riesce a declinarli, rischiamo che lo strumento non trovi applicazione”.

Smart working a ore

Insomma, il problema della corretta applicazione del lavoro agile è la sua connessione con obiettivi specifici da chiedere al lavoratore? Se non si ha la capacità (o la voglia) di definire in maniera chiara i compiti da assegnare al lavoratore, allora si potrà passare ad un lavoro agile senza obiettivi, collegandolo, come il “lavoro in presenza” all’orario di lavoro.

Su Il Sole 24 Ore del 19 ottobre 2021, in effetti, Gianni Trovati nell’articolo “Lavoro agile, arriva il modello doppio nella Pa” ci dà la conferma che la contrattazione intende perseguire proprio la strada del lavoro agile sì, ma anche un po’ anchilosato:

“L’impianto prevede due modelli di lavoro agile. Lo Smart Working vero e proprio sarà «senza vincoli di orario», come scritto nella bozza dell’intesa individuale preparata dall’Aran anticipata sabato da questo giornale), ma sarà applicabile solo nelle amministrazioni dove esiste un sistema puntuale di misurazione degli obiettivi da assegnare a ogni dipendente. Dove questo meccanismo non c’è o non è ipotizzabile, si potrà riconoscere un lavoro a distanza legato però a un orario predefinito”.

E i quotidiani del 20 ottobre 2021 danno la notizia che il 19, presso l’Aran, si è discussa una bozza di contratto nazionale di lavoro che introduce accanto al lavoro agile “vero e proprio” il lavoro “da remoto”, che altro non è se non un telelavoro da casa, soggetto al medesimo orario di lavoro da svolgere in sede e corroborato dai buoni pasto.

Facciamoci delle domande

A questo punto, Titolare, permetta a questi pixel di rivolgerLe alcune domande, nella speranza che Ella abbia le risposte:

  1. se ai contratti collettivi nazionali si affida il compito di disciplinare un lavoro agile senza obiettivi e basato solo sulla durata oraria (insomma, un telelavoro denominato in altro modo), perché, allora, l’urgenza del “richiamo in presenza”?;
  2. le critiche che il Ministro ha rivolto al lavoro agile svolto senza obiettivi erano connesse ad elementi meramente formali, come appunto la mancanza di contratto nazionale collettivo che prevedesse espressamente l’ipotesi di smart working a ore?
  3. l’ipotesi negoziale è nota al Ministro? La trova coerente con le proprie dichiarazioni e i decreti recentemente adottati?

Vorrei leggere questa variazione sul tema (della legge 81/2017), che lo stesso presidente dell’Aran non ritiene di lettura scontata e univoca, in chiave costruttiva. Lo smart working, anche se non troppo smart (meglio sarebbe dire lavoro non in presenza), come strumento di conciliazione dei tempi di vita e lavoro. E questo mi pare già un obiettivo, o un meta-obiettivo, commendevole.

Del resto, al posto del tornello possiamo usare, in casi del genere, il login e il logout al sistema, sperando che tra le due azioni ci sia qualcosa di sostanziale.

Non discuto, qui, della applicabilità di questo modello ai lavoratori che non possono essere adibiti e valutati su obiettivi. Sarà anche così. Piuttosto, vorrei vedere questo smart working a ore, se e ove possibile, come strumento-ponte per spingere finalmente le amministrazioni a darsi un vero sistema di obiettivi. E non creare una sorta di Legge di Gresham dove lo smart working “cattivo” scaccia quello “buono”, cioè per obiettivi. Dite che sono troppo ottimista? (MS)

Foto di Kevin Phillips da Pixabay

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