Quanto mordono davvero le sanzioni

Nella giornata del 22 marzo, Vladimir Putin ha ordinato alla banca centrale russa e alle aziende coinvolte di richiedere ai paesi “ostili” pagamenti per l’export di energia esclusivamente in rubli, di fatto cambiando i termini contrattuali delle forniture, almeno di quelle che non prevedono la possibilità di regolare anche in rubli. Le interpretazioni di questa mossa, anche da parte di economisti e operatori di mercato, non appaiono univoche ma la circostanza è utile per cercare di capire se le sanzioni funzionano, e in che misura. Anche qui, le valutazioni non sono unanimi.

Le sanzioni alla Russia hanno di fatto privato la banca centrale di Mosca della disponibilità di riserve valutarie detenute presso altre banche centrali, per circa 300 miliardi di dollari su un totale, oro incluso, di circa 640 miliardi.

Il canale dei dollari verso Mosca

Come noto, le sanzioni consentono ancora transazioni in materie prime energetiche, per venire incontro ai paesi europei. L’acquisto di energia avviene soprattutto attraverso Gazprombank, che non è stata sanzionata né esclusa dal circuito internazionale Swift. La banca centrale russa ha conti valutari con banche operanti sul proprio territorio, tra cui Gazprombank. In tal modo, le riserve valutarie nella diretta disponibilità della banca centrale russa possono essere ricostituite giorno dopo giorno.

Gli Stati Uniti hanno vietato a qualsiasi banca con operazioni sul suolo americano di effettuare transazioni con la banca centrale russa, direttamente o indirettamente. Ma le banche possono ancora trattare con le banche russe e la stessa banca centrale di Mosca per gli acquisti consentiti: ad esempio energia, alimentari e farmaci. Quindi i dollari possono ancora fluire verso la banca centrale russa.

All’inizio delle sanzioni, la Russia ha imposto controlli sui capitali ordinando ai propri esportatori di convertire in rubli l’80% della valuta incassata da esportazioni. Con l’ordine del 22 marzo, di fatto quella quota sale al 100% ma l’onere viene posto in capo agli acquirenti occidentali. Quale è l’impatto pratico di quest’ordine?

A prima vista, più simbolico che reale. Difficile pensare che gli esportatori russi, che di fatto sono un’articolazione del sistema statale (“affittato” a oligarchi predatori dietro parvenza di una specie di struttura privatistica) si limitassero a quell’80%.

Per Mosca era e resta critico evitare il default sul proprio debito perché, se ciò accadesse, i creditori aggredirebbero le somme in valuta oggi congelate presso banche centrali occidentali. Ma che accadrebbe se i compratori di energia russa, spesso in contratti di lungo termine, rifiutassero di andare sul mercato a reperire rubli? Che la Russia potrebbe sospendere le forniture, dando il via al braccio di ferro finale con l’Europa. E di fatto autosanzionarsi.

Il rublo forte non indica nulla

Quindi le sanzioni non funzionano? Molti ritengono che per rispondere a questa domanda serva guardare al cambio ufficiale del rublo. Che, dopo essere collassato nei primi giorni di guerra, è poi rimbalzato vistosamente. Le stesse proiezioni del surplus commerciale russo, gonfiato dai prezzi dell’energia, sembrano dar ragione a quanti ritengono che le sanzioni siano inutili.

Ma è davvero così? A che serve un cambio forte? In quanto effetto di accumulo di riserve valutarie, a pagare più importazioni, è la risposta. Ma che accade se le importazioni sono fortemente ristrette, anche per i beni formalmente non sanzionati? A che ti servono molti dollari se le navi che devono portarti gli approvvigionamenti non arrivano perché -ad esempio- non trovano modo di assicurarsi? A che ti serve un cambio forte del rublo se non riesci a comprare i pezzi di ricambio per i tuoi impianti petroliferi e di gas?

In queste prime settimane di guerra i dati ufficiali di inflazione russa indicano aumenti del 2% circa a settimana. Ci sono segnalazioni di scaffali vuoti, anche per effetto di accaparramento. Se, dopo questa prima fase, i beni continueranno a mancare perché le importazioni sono estremamente difficoltose, essere pieni di dollari sul conto della banca centrale non risolverà il problema. E non è il cambio del rublo reso “meccanicamente” forte a stroncare l’inflazione, quando le importazioni arrivano col contagocce.

Quanto è reale il cambio odierno del rublo, sapendo che le autorità russe hanno posto comunque stretti vincoli alla libera disponibilità di valuta dei residenti? Per verificarlo con accettabile approssimazione, occorre cercare evidenza di un mercato valutario parallelo. Il Washington Post la settimana scorsa ha segnalato che il giornale russo Kommersant ha indicato evidenze aneddotiche di un cambio rublo-dollaro intorno a 150.

La mano sui rubinetti

Per riassumere: sì, la banca centrale russa sta ricostituendo la propria disponibilità di valuta forte occidentale, grazie al fatto che l’energia non è sanzionata. Malgrado ciò, la possibilità di usare quella valuta per pagare le importazioni è fortemente limitata da sanzioni e autosanzioni, che ormai coinvolgono anche beni di largo consumo. In questo contesto, il valore del cambio “elevato”, o meno debole del previsto, non è indicatore di successo contro le sanzioni, perché il mercato del rublo è ormai un artefatto.

Che armi ha, Putin? Soprattutto quella di minacciare gli europei di modifica unilaterale dei contratti, per creare il timore di un blocco di forniture. Questo, assieme ad annunci di manutenzione straordinaria di importanti oleodotti dichiarati danneggiati da tempeste, tiene elevati i prezzi. È una guerra di logoramento, soprattutto della Russia contro l’Europa. In questo senso, resta la domanda: chi cederà per primo?

Che fare, quindi? Il presidente statunitense Joe Biden sa che gli europei necessitano di tempo per affrancarsi dalla dipendenza energetica verso la Russia e pare voglia contribuire, sia pure in modo limitato, con un “ponte navale” di gas naturale liquefatto (a condizioni di mercato), anche se restano rilevanti colli di bottiglia, ad esempio in termini di capacità europea di rigassificazione e della quasi inesistente interconnessione tra la Spagna (che fa largo uso di LNG) e il resto d’Europa. Sono infrastrutture fisiche, servirà tempo per realizzarle, così come servirà tempo per costruire le navi con uso di rigassificatore.

Sanzioni indirette per stringere la vite

La seconda strada, per stringere la vite, è quella di minacciare e infliggere sanzioni indirette ad aziende e paesi che dovessero vendere alla Russia in violazione dell’embargo occidentale. Cina inclusa. Anzi, soprattutto la Cina. Per puntare a degradare a passo spedito la base industriale-militare russa servirà controllo stretto dei movimenti commerciali secondari e delle eventuali triangolazioni. In aggiunta al colpo inferto dalla fuoriuscita di imprese occidentali dalla Russia e del relativo trasferimento di conoscenze e tecnologie e dal brain drain di russi che sanno che, sin quando resterà il sistema Putin, il loro paese è destinato a tornare e restare alla fase terminale dell’URSS.

Ovviamente, qui sorge una ulteriore domanda: non stiamo rischiando di provocare quella che resta la prima potenza nucleare del pianeta, per numero di testate? Questa è la tesi ricorrente, soprattutto in Italia. Chiediamoci allora, data la premessa e la domanda, cosa servirebbe per non mettere all’angolo quello che resta un paese che ha invaso a freddo un altro, sul suolo europeo. Forse dare il via libera a tutte le sue richieste?

Foto di Vik M da Pixabay

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