Voce del verbo normare

José Manuel Durao Barroso, presidente sedicente liberista della Commissione Europea, ha deciso di dichiarare guerra alla iper-regolamentazione: questa settimana il commissario europeo all’Industria e Impresa, Guenther Verheugen, presenterà una lista di 69 proposte legislative in corso di elaborazione, individuate in una lista di oltre 200 bozze di direttiva, che verranno eliminate prima di raggiungere lo stadio di approvazione finale.

Tra le proposte che non vedranno mai la luce, si segnala quella che si prefiggeva di regolamentare i tempi di esposizione dei lavoratori alla luce solare, destinata a mettere fuorilegge gli edili che lavorano a spalle nude, oltre a costringere le deliziose bariste bavaresi a sostituire la tradizionale blusa, con generoso decolleté d’ordinanza, con divise di lavoro a collo alto.
Al contempo, la Commissione ha deciso di rinviare agli uffici redigenti la proposta di direttiva, peraltro bloccata da oltre due anni, che mirava ad equiparare il trattamento dei lavoratori temporanei, assunti da almeno sei settimane, a quello dei lavoratori a tempo indeterminato, diritto alle ferie incluso. L’apparente virata neoliberista della Commissione Barroso rappresenta il tentativo di resuscitare il progetto di direttiva Bolkestein sulla fornitura dei servizi entro l’Unione, che ha rappresentato il catalizzatore (anche simbolico, con la figura dell’idraulico polacco) della rivolta dell’elettorato francese contro il Trattato costituzionale europeo. Anche senza voler essere troppo ambiziosi, il tentativo di sfoltimento delle bozze di direttiva in palese contrasto con condizioni minimali di igiene mentale rappresenta uno sforzo sovrumano, quasi inane: basti pensare che l’acquis communautaire, il corpus regolamentativo dell’Unione attualmente in vigore, è contenuto in 83.000 pagine. Dalla curvatura delle banane alla percentuale di grassi vegetali contenuti nelle creme di nocciola, dal parmesan alle farine destinate ad alimentazione animale, tutto è previsto, classificato, sanzionato e normato dal moloch bruxellese, che rappresenta un formidabile elemento inerziale a riforme in direzione liberista della politica economica comunitaria. Parafrasando Winston Churchill, questa iniziativa di Barroso non è la fine, né può essere classificata come l’inizio della fine per i regulators europei. Più verosimilmente, essa potrebbe essere l’inizio dell’inizio. Ma c’è motivo per essere pessimisti.

UPDATE: sull’argomento, si segnala anche un editoriale di Tommaso Padoa Schioppa sul Corriere. Analisi interessante, soprattutto perché individua due canali di creazione dell’eccesso di regolamentazione: la diffidenza dei singoli stati rispetto alla Commissione che costringe, come ben specificato nei manuali di organizzazione e public choice, a delimitare minuziosamente gli ambiti di applicazione delle normative, producendo come effetto collaterale la necessità di ulteriori regolamentazioni ed interpretazioni, in un circolo vizioso che si autoalimenta. Il secondo canale è invece individuato nel tentativo dei singoli stati o coalizioni di essi, di far passare in sede europea provvedimenti legislativi che non riescono ad introdurre in sede nazionale. Analisi condivisibile, assai meno lo è l’ottimismo con cui Padoa Schioppa saluta questo provvedimento di sfoltimento. Il punto centrale della questione resta la cessione di sovranità ad una tecnostruttura priva di investitura popolare diretta. Finché non verrà risolta questa contraddizione, se mai ciò avverrà, è difficile credere ad un rilancio della costruzione europea.

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