Che è successo realmente ieri sera? Gli indecisi sono stati convinti? Si sono verificati spostamenti significativi nelle intenzioni di voto? Noi pensiamo di no. Quindi non sprecheremo tempo a discutere di chi ha vinto, con quale punteggio, cosa non ha funzionato e cosa si. Solo qualche considerazione spicciola: Prodi ha usato ossessivamente l’aggettivo “serio” ed il sostantivo “serietà”: è stato coerente con i suoi cartelloni 6X3 che si possono ammirare in giro per l’Italia. Ha rifiutato pervicacemente di fornire dati, previsioni e stime, accusando invece Berlusconi di prodursi in un diluvio di cifre. Ha terminato centrando l’appello finale sulle emozioni, addirittura sul concetto di “felicità”, forse perché di recente deve aver dato una rapida scorsa alla costituzione americana. Ha reiterato il mantra secondo il quale non c’è vita fuori dall’Onu, ad uso di quanti fanno il tifo per dittatori e terroristi assortiti, spingendosi di fatto ad argomentare che con l’Iran bisogna andarci cauti, non tanto perché tra pochi anni disporrà di missili a lunga gittata a testata nucleare, ma “perché hanno il petrolio”. Berlusconi, oltre a tentare di farsi in casa i diagrammi di Rohrschach, è stato stranamente lineare ed argomentativo, ma continua a non rispondere alla domanda principale della legislatura: come recuperare competitività e permetterere al prodotto interno lordo di seminare quell’avvilente numero zero che da tanto, troppo tempo lo segue come un’ombra? Eppure, la risposta potrebbe ottenerla in pochi secondi, se fosse il liberista che dice di essere, e non il capo di una coalizione prigioniera delle “clientele minute”. A differenza di Prodi, che è il capo (puramente nominale e rigorosamente a termine) di una coalizione eterodiretta dagli unici e veri poteri forti di questo paese.
Una nota sugli intervistatori: il direttore del Messaggero ci è sembrato appena sufficiente, mentre Marcello Sorgi è stato la vera rivelazione della serata: espressivo come una sequoia, arguto quasi quanto una casalinga di Voghera. E poi li chiamano “editorialisti”.
Per fortuna, l’Inter si è qualificata.