E continuano a non tenere vergogna

Chissà che pensano, i professori de lavoce.info, dell’accordo tra governo e sindacati sul pubblico impiego. Loro, sempre così pronti a bacchettare la prodigalità e l’indisciplina fiscale dei governi, soprattutto di quelli che non sono di centrosinistra. Perché qui da scrivere ce ne sarebbe, eccome. Un accordo che rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana: prima diamo gli aumenti, poi verifichiamo se e cosa fare, con gli “atti di indirizzo”, cioè la sostanza del rinnovo contrattuale, sul piano organizzativo e dello sviluppo della produttività. Si può capire l’esigenza del governo, con il primo turno delle amministrative lontano solo 40 giorni. Ancora una volta, c’è da testimoniare della persistente lotta, sul filo della dissociazione mentale, tra il dottor Padoa e mister Schioppa. Questa volta a perdere è l’economista, a vincere è il piccolo demagogo politico:

“È una tappa molto importante del cammino che abbiamo intrapreso da circa un anno. Ha due elementi fondamentali: quello di dare sicurezza economica ai dipendenti della pubblica amministrazione. Grazie alla Finanziaria e al suo effetto sui conti abbiamo infatti potuto firmare il rinnovo senza mettere in pericolo il risanamento dei conti. Il secondo elemento è l’intesa che contiene un profondo rinnovamento delle amministrazioni pubbliche. Adesso si tratta di saperlo attuare e accettare”.

Quale possa essere l’evento epocale in una simile sbracatura ai diktat sindacali non è dato sapere. Nel frattempo, Romano Prodi decide di scendere in campo sul caso-Telecom.

E lo fa da par suo, con una collezione di moralismi irranciditi che titillano l’anticapitalismo viscerale che da sempre alberga nelle menti e nei cuori di larga parte degli italiani.

“Che cosa posso dire di quello che sta succedendo? Una sola cosa. Che bel capitalismo, complimenti. E dicono ancora è il mercato, bellezza! Ma c’è da morir dal ridere… E’ tutta una corsa a chiedere protezioni e favori”.

Che c’entri il capitalismo con le sorti di un signore che è costretto a gettare la spugna proprio per insufficienza di mezzi finanziari necessari a mantenere il controllo di Telecom Italia, in quello che appare come il de profundis del capitalismo di debito all’italiana, non è dato sapere. Gli imprenditori chiedono favori? Ovvio che si, visto che si trovano ad operare in contesti di assoluta incertezza normativa, con una classe politica che attua una politica industriale molto simile al brigantaggio di strada. E’ la debolezza del capitalismo italiano a favorire il parassitismo della politica. Concentrarsi sulla determinazione univoca e inequivocabile delle regole del gioco è attività troppo poco remunerativa per i nostri eletti. Meglio, molto meglio, mettere direttamente le mani sul timone. Ecco quindi tornare di prepotente attualità il “Piano Rovati”, alla cui attuazione un prostrato Marco Tronchetti Provera aveva chiamato 200 giorni fa quella che il direttore di Radio24, Giancarlo Santalmassi, ha definito “la verginella ottantenne”: Guido Rossi. Ma le cose sono andate diversamente dalle previsioni prodiane: Tronchetti ha fretta di fare cassa, e ha deciso di emanciparsi dai traccheggi di Palazzo Chigi accingendosi a vendere al miglior offerente (chiunque esso sia, anche la Cassa Depositi e Prestiti, chi può dirlo?).

Da questa dichiarazione d’indipendenza scaturisce la patetica intervista di Rossi alla Pravda di Largo Fochetti. L’Italia come la “Chicago degli anni Venti”? Certo, professor Rossi. Soprattutto grazie a quelli come lei, che hanno passato non meno di quattro decenni nelle stanze del potere politico. Scrivendo dotti best seller su “conflitti epidemici” e “opacità” del capitalismo italiano, mentre incassavano parcelle miliardarie (nel vecchio conio) per aiutare le famiglie imprenditoriali a perpetuare le scatole cinesi, i patti di sindacato, la natura parassitariamente elitaria del capitalismo italiano. Il professor Rossi ha trascorso molti anni della propria vita di presunto civil servant alla guida della Consob, proprio come ha fatto l’altro “borghese progressista” che risponde al nome di Luigi Spaventa. Eppure, la Consob resta un simulacro di Authority di vigilanza. Il professor Rossi avrebbe potuto esercitare la sua innegabile influenza sui legislatori progressisti di questo paese, per promuovere una disciplina sulle offerte pubbliche d’acquisto che fosse degna di tale nome, tale da rendere realmente contendibili le aziende quotate e tutelare gli azionisti di minoranza. Evitando ai medesimi di leggere sui rotocalchi patinati dell’ultima crociera nel Mediterraneo del “principe” Tronchetti Provera, tanto abile (si fa per dire, visto il prezzo di carico…) a vendere la Telecom a 2.82 euro ad azione, mentre loro devono ringraziare lo strappo di borsa a 2.40 per poter tagliare sanguinose perdite pluriennali sul titolo. Non ci risulta nessuna iniziativa del professor Rossi a tutela di quello che, anche grazie a lui, resta il parco buoi.

Il nostro irresistibile premier se la prende con la debolezza del capitalismo italiano? Chi ha privatizzato Telecom Italia, nel 1997? Il suo governo. Chi era al timone della Telecom neoprivatizzata che è stata consegnata al nocciolino di controllo targato Torino-Ifil, in una delle vicende più disastrose dello pseudo-capitalismo italiano? Un certo Guido Rossi, di certo omonimo della nostra verginella moralista di oggi. Chi ha gestito, nell’ultimo decennio, i continui cambi di mano del controllo di Telecom Italia retti su scatole cinesi sempre più sfacciate ed arroganti? Sempre il centrosinistra, nelle varie merchant banks che si sono succedute a Palazzo Chigi. E’ un po’ come l’Irap, la tassa sull’occupazione. Creata da Prodi e Visco nel 1997, esecrata da Prodi e Visco tra il 2001 ed il 2006. Oggi nuovamente uscita dai radar, tesoretto o non tesoretto. Quando si dice il destino cinico e baro. Prodi ripete sempre se stesso, da alcuni decenni: che bel capitalismo, complimenti. Vendiamo l’Alfa Romeo alla Fiat e non alla Ford, che pagava soldi veri e subito ma non difendeva l'”italianità”. Così il capitalismo italiano diverrà migliore. I contribuenti italiani se ne sono accorti, in effetti. E Putin è un mafioso solo quando le aziende di stato russe fanno affari con le aziende di stato italiane sotto governi di centrodestra, che per ciò stesso divengono automaticamente corresponsabili dei massacri in Cecenia, con la sinistra moralista a organizzare convegni dove magari si trova qualcuno che giura di aver visto Marcello Dell’Utri aggirarsi dalle parti di Grozny. Ma quando torna “la serietà al governo”, con l'”amico Putin” c’è dialogo. Doppiezza togliattiana in moralismo dossettiano, l’effluvio mefitico che ci regala la sinistra faccendiera.

A poco serve l’abituale, stucchevole soccorso del Padre Fondatore a Prodi. E’ vero, Telecom Italia è una cash-cow, anche grazie ad una regolamentazione molto indulgente con gli ex monopolisti (altro tratto del “bel capitalismo”, amorevolmente coltivato dalla “bella politica” di casa nostra ). Il problema sta nell’assetto proprietario, giusto? Bene, si venda Telecom Italia al miglior offerente, italiano o straniero che sia. Show me the money. La politica si limiti a creare le condizioni per il funzionamento di un vero mercato, e non del mercimonio sudamericano che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi, ché quella è la sua vera e unica funzione. Tutto il resto sono maneggi per faccendieri. Seri o ilari che siano.

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