Bernardo Caprotti, il leggendario fondatore di Esselunga, ha dato alle stampe un volume in cui ripercorre decenni di guerra mossa dalle coop rosse ad un imprenditore della grande distribuzione non schierato ed autenticamente indipendente. Che in questo libro accusa la Coop, tra le altre cose di fingere di calmierare i prezzi e di poter contare, a distorsione di una vera concorrenza nella grande distribuzione, su “impensabili protezioni, privilegi fiscali inauditi e sul polmone finanziario inesauribile del prestito sociale.”
Ed arriva addirittura a paventare il rischio che una liberalizzazione vera (e non le “vendette di classe” rappresentate dalle lenzuolate bersaniane) con apertura del mercato italiano possa giungere a dissestare l’intero pachiderma cooperativo, facendone una nuova Alitalia, con buona pace dei contribuenti. In questi mesi è scattato l’allarme sui prezzi agricoli, ma il nostro paese partiva già da un inaccettabile divario lungo tutta la filiera che va dal campo agli scaffali. Avete mai letto, a chiusa degli articoli che denunciano questa ennesima rendita parassitaria nel paese delle mille caste, una innocente domandina alle Coop: ma voi, che fate per comprimere i prezzi lungo la filiera? Non si dice, non si può dire? Strano, nel paese neoliberale che Fassino e Veltroni ci dipingono quotidianamente.
Perché i compagni sono abilissimi a mentire, sopire e troncare. Leggete cosa scrive Caprotti in merito alla libertà di apertura di nuovi punti vendita, nel paese dei cento campanili rossi:
Lo stesso copione si ripete a Bologna. Il 19 maggio 1999, Esselunga attraverso la società Iridea sottoscrive un accordo da 40 miliardi di lire per l’acquisto dell’area ex Hatù in Via Costa e la costruzione di un supermercato con due piani di parcheggi. Poi accade l’imponderabile: nel sito viene identificato «un complesso rustico di età etrusca di indubbio e rilevante interesse archeologico». Che fare? «Il 16 novembre ’99 il ministero, a firma del direttore generale Mario Serio, ministro la signora Giovanna Melandri, appose il vincolo. Non si tocca più niente. L’impatto sull’opera a costruirsi era devastante. I parcheggi interrati irrealizzabili. La strada della rimozione con collocazione altrove dei resti archeologici ci fu detta non percorribile».
A febbraio 2000 Esselunga getta la spugna. E qui capita un fatto ancor più imponderabile: entra in azione la Coop Adriatica di Pierluigi Stefanini. Tempo due anni due e il supermercato è pronto e aperto. Ma come, i resti etruschi dell’antica Felsina? Caprotti va in perlustrazione e li trova «nella zona verde, all’apparenza abbandonata, in fondo alla via della Nuova Certosa, a Bologna. In un recinto con la base in cemento, sovrastato da una squallida griglia zincata, stavano “valorizzati” e coperti da una plastica nera in gran parte nascosta dalle erbacce, i segni di una perduta civiltà». Il trasloco dei reperti, negato a Caprotti come eresia, era stato concesso in un amen a Coop Adriatica.
Onore dunque a Bernardo Caprotti, combattente per la libertà. D’impresa e non solo.