Il blocco della sinistra sociale e politica che sta gioiosamente spingendo il Belpaese verso il baratro sembra a sua volta sull’orlo di una crisi di nervi. L’antefatto è noto, ma lo riepiloghiamo. Accade che il 23 luglio governo e parti sociali firmino una bozza di accordo sulla riforma del welfare. Come sempre in questi casi, i sindacati ne subordinano la ratifica all’approvazione da parte della propria base. Inizia una lenta e logorante guerra di trincea, con la sinistra radicale (più qualche Mussi di complemento in cerca di visibilità) che sposa la logora tesi della centralità operaista, e tenta di condizionare l’esito del referendum tra i lavoratori usando tutta la panoplia di strumenti “dialettici” di cui dispone, non ultimo quello estremo dei brogli elettorali.
Accade anche che la stragrande maggioranza dei lavoratori, passati e presenti, ratifichi l’accordo. I lavoratori futuri invece, as usual, non votano, e lì sta il problema. La sinistra radicale, che in un contrappasso dantesco ha da tempo sposato la “dottrina Cuccia” in base alla quale i voti non si contano ma si pesano, chiede ed ottiene da Prodi alcune modifiche al testo dell’accordo.
I sindacati (e Confindustria nell’ormai abituale ruolo di sleeping partner) insorgono, chiedono di tornare a sedersi attorno al fatidico tavolo di Palazzo Chigi, quello dove di solito si affannano cineoperatori e giornalisti nel tentativo di carpire alcuni movimenti rivelatori dei muscoli facciali della classe dirigente del paese. Prodi tronca e sopisce, come sempre: non sono modifiche, è solo la traduzione in articolato dei contenuti dell’accordo. Il quale accordo era evidentemente scritto in sanscrito, visto lo stravolgimento occorso. Ma si sa, tradurre ha la stessa radice etimologica di tradire.
Quello che invece è molto interessante, sono i penultimatum lanciati da sindacati e sinistra radicale appena usciti dal portone di Palazzo Chigi. “No a nuovi passaggi in CdM”, dicono verdi e comunisti italiani, mentre il Prc confida nella possibilità di cambiare il testo in aula. Contemporaneamente, Bonanni minaccia scioperi e sfracelli se non si tornerà alla versione originaria del protocollo.
Quindi possiamo attenderci, nell’ordine: una manifestazione antigovernativa orchestrata da forze di governo per il 20 ottobre, ed uno sciopero generale antigovernativo orchestrato dai sindacati contro lo stravolgimento di un protocollo d’intesa originariamente sottoscritto (perché diversamente sarebbero usciti dal governo, giusto?) anche da quella parte della maggioranza che si accinge a manifestare contro di esso. Ancora una volta, si evidenzia quale errore capitale sia stata la Legge Basaglia.
Ma non tutto il male viene per nuocere. Poiché qui abbiamo un nodo gordiano da manuale, il trionfatore delle Primarie del Pd potrà iniziare a fare stretching sulla sua personalissima velleità di rupture. Forza Uòlter, almeno tu facci sognare.
UPDATE – Pensate: il concetto è arrivato fino a Massimo Giannini.