L’Ikea delle riforme

Ieri, nel consueto Messaggio alla Nazione dal balcone di Largo Fochetti, Eugenio Scalfari ha ulteriormente ritoccato il proprio record personale di malafede politica inventandosi una diretta connessione tra leggi elettorali e produttività degli esecutivi che da tali consultazioni originano:

In Spagna votarono quattro anni fa con una buona legge che ha dato maggioranze solide e stabilità di governo. Zapatero prese impegni con gli elettori e li mantenne rigorosamente, dal ritiro del corpo di spedizione in Iraq ai matrimoni omosessuali, dalle trattative con l’Eta all’educazione civile nelle scuole, alla struttura federale dello Stato, a provvedimenti economici di stimolo alla crescita del Paese. Adesso presenta il suo bilancio per essere riconfermato o sostituito.

Dunque, secondo Scalfari una “buona” legge elettorale produce esecutivi ad altissima produttività. Sarà vero? E cosa è esattamente una “buona” legge elettorale?

L’esperienza britannica dimostra che, in un contesto maggioritario di due partiti dominanti, il premier può sempre essere sfiduciato dal proprio partito, e la linea di governo uscirne profondamente modificata in continuità di legislatura, come accadde al momento della defenestrazione di Maggie Thatcher da parte dei Tories. Del sistema elettorale spagnolo si è detto, si tratta di un sistema proporzionale con correzione maggioritaria data dall’utilizzo del metodo d’Hondt anziché dai quozienti, e dalla elevata numerosità dei collegi elettorali, che finisce coll’innalzare la soglia di sbarramento formale. Ciò determina esiti tendenzialmente bipartitici (o comunque bipolari ad alta concentrazione), salvaguardando al contempo le autonomie locali.

Cosa vorrebbe esattamente Scalfari? Un sistema maggioritario anglosassone del tipo first past the post, bipartitico? In altri termini vorrebbe diserbare i cespugli della sinistra estrema a tutto vantaggio del Partito democratico? Lo dica a chiare lettere, senza questi espedienti dialettici di basso conio. Se in Italia la sinistra è frantumata in più fazioni di rito alternativo la responsabilità è della legge elettorale o della subcultura politica di quell’area? La stabilità la fanno le leggi elettorali? Proviamo ad inferire dall’esperienza dell’ultimo decennio e più. Il mattarellum, figlio dello scippo di un esito referendario maggioritario, ha prodotto una legislatura (1996-2001) durante la quale si sono succeduti tre premier, a seguito di contrasti esclusivamente interni alla coalizione di sinistra, e veri e propri colpi di palazzo. Sempre col mattarellum, la legislatura 2001-2006 ha prodotto un governo ed un premier per l’intera legislatura, a differenza di quanto successe nel 1994-1996, quando la legge elettorale venne introdotta. La stabilità fine a sé stessa è un valore? No, diciamo che si tratta di condizione necessaria ma non sufficiente alla produttività dell’esecutivo. Ma se l’esecutivo e la maggioranza sono drammaticamente eterogenei? Un programma di 281 pagine rappresenta la summa del molto, moltissimo che c’è da fare in questo sgarrupato paese o piuttosto è figlio dell’esigenza di definire contrattualmente, in modo notarile, obblighi e prerogative di un gruppo di soci che non si fidano gli uni degli altri e temono la fregatura in ogni momento?

Il porcellum ha finora prodotto una legislatura di durata pari a 20 mesi, costellata di voti di fiducia con frequenza tra le più elevate della storia repubblicana. Cosa si è iniziato a riformare, durante questi 20 mesi? Si è risolto il problema dei termovalorizzatori in Campania? Non si direbbe. La Tav e i rigassificatori? Missing in action. Tralasciamo le argomentazioni di Scalfari, degne del miglior Pavolini, per le quali questi problemi affonderebbero le proprie radici esclusivamente nella legislatura precedente. Infatti Bassolino è di Forza Italia e non ce n’eravamo accorti, la polizia in Val di Susa si sarebbe dovuta trasformare nei carabineros cileni degli anni ruggenti e fare aprire i cantieri a suon di manganellate, così Scalfari ed i suoi amici avrebbero potuto dire che in Italia è arrivato il fascismo. Ma forse ha proprio ragione Io Padre Fondatore, gli italiani sono un popolo di anarco-individualisti e familisti amorali, e necessitano del morso di un governo forte, con le buone o con le cattive. A volte però abbiamo la netta percezione che in questo paese un Uomo Forte, se mai dovesse prendere il potere sospendendo costituzione e prerogative parlamentari, verrebbe alla fine abbattuto e costretto all’esilio da una sentenza del Tar del Lazio.

Non vi parleremo dell’esigenza di fare riforme già dall’inizio di questa legislatura ormai terminata. Berlusconi chiese (chissà quanto genuinamente) un governo di larghe intese, Prodi rispose che si può e si deve governare anche con un solo voto di scarto, e così avvenne. Per la prossima legislatura il canovaccio è già pronto, si chiama delegittimazione della maggioranza prodotta dalla legge elettorale in vigore. Il quadro teorico di riferimento dell’intera operazione lo ha già partorito la geniale mente di Luciano Violante, suggerendo al comitato promotore referendario, che rappresenta pro-tempore un potere dello stato (accade anche questo, in Italia), di sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Consulta contro lo scioglimento delle camere. E’ Violante che traccia il solco, ma sono i D’Alema, i Latorre e le Finocchiaro che lo difendono. La capogruppo dei senatori del Pd, da sempre fervida ed immaginifica costituzionalista, ha ad esempio ipotizzato una variazione sul tema nella forma di ricorso alla Consulta contro l’attuale legge elettorale, sfruttando l’assist che la Corte ha fornito, criticando tanto il porcellum che la legislazione che deriverebbe dalla vittoria dei sì al referendum.

Ipotesi di conflitto costituzionale tanto creative quanto sfasciste, ad evidenza, ma che ben si attagliano alla pericolosità di alcuni soggetti quando i medesimi sono estromessi dalla stanza dei bottoni in forza di un voto popolare. E come ben dimostra la pantomima della convocazione, da parte dell’esploratore Marini, di un caravanserraglio di sedicenti parti sociali (sempre le stesse, e neanche tutte), tutte schierate per il no alle elezioni. Il capo dello Stato ha dato a Marini un incarico “finalizzato” (sic) a valutare la fattibilità di una riforma della legge elettorale, ma Cgil, Cisl, Uil e Confartigianato non risultano ancora investiti del potere legislativo. Ma tutto serve alla Causa, in questo corporativismo da Barnum. Compreso il santino della Cei, altrimenti vista come intollerabile fonte di prevaricazione teocratica sulla vita laicamente civile della Repubblica.

Prepariamoci quindi, in caso di vittoria elettorale della CdL, alla riedizione in punta di diritto e di piazza della “guerra civile fredda italiana”. Ma un suggerimento agli elettori del centrodestra, attuali e potenziali, vorremmo comunque darlo. Se non volete assistere alla replica della legislatura 2001-2006, e se ritenete che questo paese sia maturo per il bipolarismo e l’assunzione di responsabilità politica che esso implica, non attendete una legge ad hoc. Fatevela da soli. Non disperdete il vostro voto sugli altri partiti della coalizione di centrodestra, votate direttamente per il primo partito della medesima. In questo modo impedirete a Berlusconi di dire che la sua azione a Palazzo Chigi è stata frenata e snaturata dalla “solidarietà” di coalizione, e lo costringerete a governare; eviterete altresì che il primo Casini che passa possa iniziare, dal minuto 1 dopo l’insediamento delle nuove camere, a sostenere che occorre “lavorare per il Centro”, cioè per il re di Prussia. Se poi siete elettori di centrodestra e non avete nessuna intenzione di votare per gli eredi delle tessere annonarie e dell’oro alla patria, tanto meglio: non avrete remora alcuna a seguire questo nostro suggerimento.

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