Durante l’Assemblea Costituente del Partito democratico, sabato scorso a Roma, Walter Veltroni ha fatto una scoperta fondamentale: senza crescita non ci può essere neppure redistribuzione. E’ con profonda commozione che vi segnaliamo questa svolta epocale per gli italici destini:
Il programma del Partito Democratico assume quindi l’aumento della ricchezza nazionale come obiettivo principale della sua strategia politica e di governo. Anche perché, senza crescita, non c’è politica redistributiva che tenga.
Detto con ancora più chiarezza: senza crescita, senza più ricchezza, non c’è giustizia sociale.
Se l’economia e le imprese vanno male, ogni obiettivo di equità sociale e di creazione di opportunità si allontana.
Fine degli anni ruggenti della sinistra plurale neopauperista, quella egemonizzata dai Giordano e dai Diliberto, che sentenziavano a giorni alterni “ora basta regali alle imprese?”.
Forse. Ma Veltroni va ben oltre, e parla anche di diseguaglianza:
(…) oggi l’Italia, insieme ad un problema di crescita, ha anche un grave problema di disuguaglianza e immobilità sociale: si è bloccato l’ascensore sociale che consente ai giovani più impegnati, intelligenti e preparati di salire quanto vorrebbero e meriterebbero.
L’Italia è tra i paesi più diseguali d’Europa. In Italia, il 20 per cento più ricco della popolazione possiede quasi sei volte il reddito del 20 per cento più povero. Il rapporto tra reddito e patrimonio è uno a sette, il più alto tra i paesi sviluppati.
L’indice di povertà relativa segnala che il 19 per cento della popolazione è in grave disagio economico. In Svezia questa percentuale è al 9, in Germania e Francia al 13.
Non conosciamo la fonte di questi dati, ma quello che appare evidente è che il discorso di Veltroni rappresenta l’epitaffio dell’esperienza italiana di intervento pubblico nell’economia:
(…) in Italia, a differenza ad esempio di quanto avviene in Spagna, nei paesi del Nord o in Olanda, il tasso di disuguaglianza, dopo l’intervento pubblico, invece di scendere resta pressoché invariato.
Con buona pace della redistribuzione di cui vaneggiano Prodi e il vecchio grillo parlante Scalfari. E’ davvero funambolica questa operazione di tentato decoupling di Veltroni dall’esperienza di uno dei governi più fallimentari della storia repubblicana, nello stesso momento in cui l’ex sindaco di Roma tenta di accreditare l’azione di Prodi come modello ed esempio di risanamento e rilancio dell’economia del paese. Veltroni è pure riuscito a ficcare nel suo copiaincollato discorso obamian-kennedyano la “ricerca della felicità“, manco a dirlo stravolgendone il senso. Proseguendo di questo passo revisionista, tra qualche anno la Nuova Sinistra Democristiana (pardon, il Partito democratico), ci dirà che occorre importare in Italia anche il Secondo Emendamento.
Ed è parimenti di matrice americana (pur se rigorosamente de noantri) un altro caposaldo del Veltroni-pensiero: la mobilità sociale, che il candidato premier definisce “l’ascensore sociale“. E proprio per dare seguito operativo a tale precetto, è arrivata l’offerta di candidatura in una circoscrizione del Nord a Matteo Colaninno, l’eterno vicepresidente delle aziende di papà Roberto, il “capitano coraggioso” di dalemiana memoria, quello abile come nessun altro a fare trading su Telecom Italia sotto la regia della merchant bank di Palazzo Chigi, l’ex fidato dipendente della Tessera Numero Uno del Partito democratico. Matteo Colaninno, dicevamo: fulgido esempio di giovane che è balzato sull’ascensore sociale, ed è pure riuscito a premere il bottone del superattico. Impegnatissimo nei consessi confindustriali ma di abnegazione tale da costringersi a bere anche l’amaro calice della Cosa Pubblica. Mica come quegli altri imprenditori (giovani e no) che lavorano in azienda 24 ore al giorno e non riescono neppure ad andare al cesso, figuriamoci ai convegni. Prendete esempio da Matteo e compratevi un organizer, sarete più produttivi.
Veltroni conferma l’opzione strategica del Pd per imprenditori e top manager, rigorosamente della grande industria. Ricordate l’innamoramento di Fassino per il “socialdemocratico” Sergio Marchionne, quello che ha la residenza fiscale nel cantone svizzero di Zug, dove le tasse sono protette dal Wwf? Ma Walter ha un progetto complessivo: democratizzare il capitalismo italiano, strappandolo alle consorterie finanziarie ed ai cucciani patti tra amici:
Se il capitalismo italiano viene definito “relazionale”, è per la diffusione di opachi patti di sindacato e strutture piramidali nell’assetto proprietario di molti grandi gruppi, che ne ostacolano la contendibilità, impedendo al mercato di esercitare la sua funzione dinamica e selettiva.
Giusto, ben detto. Veltroni si adoperi quindi per regole del gioco sulle società quotate che rendano contendibile Unipol, controllata da una serie di scatole cinesi alla cui sommità vi sono le cooperative rosse, e per rimuovere le agevolazioni fiscali alle medesime, palesi distorsioni alla concorrenza. E già che c’è pensi anche al Monte Paschi, che contendibile non lo è stato mai, sotto il ferreo controllo di una Fondazione che si appresta a svenarsi per comprare a carissimo prezzo Antonveneta (ma, siamo certi, per robuste motivazioni di strategia economica, e null’altro), dopo aver sistematicamente fallito tutti i precedenti tentativi di aggregazione. Caro Veltroni, partiamo da qui per rendere meno oligarchico il “capitalismo relazionale” italiano, c’è ancora moltissimo da fare.
La nave è salpata. Anzi, il Fiat Iveco (ça va sans dire) rigorosamente verniciato di verde è partito dal loft di Piazza Sant’Anastasia. Dal “pagherete caro, pagherete tutto” al “pagare meno, pagare tutti”, la sinistra fa progressi.