Cinema e sussidi

Una vicenda raccontata giorni addietro dal New York Times conferma ad abundantiam che, ogni volta che lo stato mette le mani su qualcosa, finisce irrimediabilmente col volerne controllare sempre di più, tipicamente attraverso i cordoni della borsa. In Canada sono in corso le audizioni per un progetto di legge fiscale (di 560 pagine, con buona pace della tanto agognata semplificazione) che, tra le altre cose, prevede di modificare la normativa sui sussidi pubblici (definiti impropriamente crediti d’imposta) a beneficio della cinematografia e dei programmi televisivi non di informazione, crediti che coprono in media tra il 10 ed il 12 per cento del budget di produzione. Attualmente, il produttore deve richiedere anticipatamente la certificazione che il programma è “sufficientemente canadese” (verbatim). I soldi pubblici, tuttavia, arrivano solo quando l’opera è completata e sottoposta ad una seconda recensione.

Ed è proprio questa seconda fase che il governo mira ad estendere, consentendo al ministro per l’Eredità Canadese, un funzionario pubblico, di certificare anche che “il finanziamento pubblico alla produzione non è contrario alle politiche pubbliche”. La vaghezza di questo proponimento sta preoccupando gli addetti ai lavori ed i sostenitori del free speech, che temono che il governo possa tagliare il finanziamento ad opere che offendono (a giudizio del governo medesimo) le opinioni morali, religiose o politiche altrui. I produttori e gli addetti ai lavori sostengono anche che, senza soldi pubblici, non sarebbe possibile produrre alcunché, per insufficienza di mezzi finanziari. In pratica, con questa legislazione verrebbe alterato il prezzo relativo tra film “conformi” e “reprobi”, con il contribuente a pagare il conto. Curiosamente, il Canada offre simili sussidi anche a produttori esteri (soprattutto statunitensi), ma senza prerequisiti. Secondo alcune interpretazioni questo progetto di legge sarebbe un espediente del governo conservatore, che non dispone della maggioranza alla Camera dei Comuni, per convocare elezioni anticipate.

E’ possibile analizzare le motivazioni economiche di questa misura. Ad esempio, esiste una giustificazione per i sussidi? In astratto, l’intervento pubblico (sotto forma di sussidio o credito d’imposta) si dovrebbe utilizzare in caso di fallimento del mercato. Il mercato dell’audiovisivo canadese rappresenta un caso di fallimento del mercato? In altri termini, i prodotti di tale mercato sono classificabili, anche solo parzialmente, come beni pubblici? Godono, cioè, del requisito di non escludibilità e non rivalità nel consumo? In astratto sì, ad esempio per le opere trasmesse da emittenti pubbliche, quindi la motivazione per il sussidio sembra sussistere.

Possiamo anche ipotizzare che il governo abbia deciso di tenere bassi i costi di produzione (tramite sussidi) per aumentare un’offerta di prodotti audiovisivi “culturalmente canadesi” considerata troppo bassa. Oppure, visto che la principale voce di costo delle produzioni è rappresentata dal lavoro, potremmo concludere che gli special interests rappresentati da attori, sceneggiatori e maestranze siano riusciti a prevalere sull’interesse generale dei contribuenti.

Ma il principale rischio dell’intervento pubblico in un settore economico (pur se peculiare come quello dell’audiovisivo) resta il controllo politico, che a sua volta genera conformismo e rendite di posizione. Un caso di scuola da applicare alla cinematografia italiana, i cui sussidi sono da sempre presidiati dalla sinistra, con ben noti risultati.

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