Ieri il Senato ha approvato l’emendamento Vizzini-Berselli sulla sospensione, per la durata di un anno, di alcuni processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 e “che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell’udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado”. Il provvedimento è stato ribattezzato salva-premier in quanto tra i processi sospesi vi è anche quello in cui Berlusconi figura come imputato di corruzione in atti giudiziari. Al centro del procedimento sui presunti fondi neri Mediaset, iniziato nel marzo 2007, c’è l’accusa secondo cui Berlusconi nel 1997 fece inviare 600 mila dollari al legale britannico Mills come ricompensa per non aver rivelato in due processi, in qualità di testimone (e quindi con l’obbligo di legge di dire il vero e non tacere nulla), le informazioni su due società off-shore usate da Mediaset, secondo la procura, per creare fondi neri. Sia Berlusconi sia Mills hanno sempre respinto le accuse, e Mediaset ha ribadito in più occasioni la propria correttezza e trasparenza. Questo per la cronaca.
A livello politico, immediata è stata la reazione dell’Anm, con una conferenza stampa del suo segretario, Giuseppe Cascini, affiancato da tutto lo stato maggiore del sindacato delle toghe, ove si è parlato di “almeno centomila processi sospesi”, con tanto di sequenza di esempi che sembrano tratti da una galleria degli orrori fatta di malvagità e stupidità (del legislatore che approvi un provvedimento che produca gli effetti descritti dall’Anm).
In tutta onestà, non siamo in grado di verificare la veridicità delle affermazioni del sindacato dei giudici, soprattutto considerando che l’emendamento non prevede la prosecuzione solo dei procedimenti per reati che prevedano una pena non inferiore a dieci anni, ma anche di altre tipologie di reati (ad esempio quelli commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in ogni caso, i procedimenti con imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede).
Tentiamo di astrarre per un momento dalle vicende giudiziarie del premier. Di questo decreto-sicurezza è importante evidenziare che esprime un indirizzo di politica giudiziaria: la determinazione, da parte dell’esecutivo, dei “criteri di priorità per la trattazione dei processi più urgenti e che destano particolare allarme sociale”. Nell’intendimento di Berlusconi, il provvedimento
“consentirà alla magistratura di occuparsi dei reati più urgenti e nel frattempo al Governo e al Parlamento di porre in essere le riforme strutturali necessarie per imprimere un’effettiva accelerazione dei processi dei processi penali, pur nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali”.
Una sorta di temporaneo deflazionamento del carico di lavoro della magistratura, quindi, in attesa della Grande Riforma.
Come abbiamo scritto all’inizio del filone (che si annuncia fecondo) del “vorrei ma non posso” del Berlusconi-quater, anche questo provvedimento sulla giustizia appare come il tentativo di vincere l’inerzia operativa del sistema giudiziario, frutto di decenni di assoluta incuria (finanziaria e procedurale) da parte del legislatore e di un atteggiamento della magistratura associata più incline alla conservazione dello status quo che allo stimolo verso riforme strutturali. Ma perché il decreto-sicurezza (e la sua conversione in legge) rischia di finire archiviato nella categoria del “vorrei ma non posso”? Perché, come spiega con grande efficacia Retorica e Logica, riprendendo una dichiarazione del presidente dell’Unione Camere Penali italiane, Oreste Dominioni, un simile impianto normativo ha alte probabilità di essere cassato dalla Corte costituzionale per violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Come la pensiamo in materia, è noto: l’obbligatorietà dell’azione penale è una pura finzione, che consente alla magistratura margini di autonomia vastissimi, spesso utilizzati in chiave “politico-sindacale”, a difesa delle proprie rendite di posizione. Ma fintanto che questa finzione resterà scritta a lettere di fuoco nella Costituzione, ogni intervento per via ordinaria avrà la certezza di essere frustrato. Né vale, a nostro giudizio, invocare interpretazioni analogiche tra l’emendamento Vizzini-Berselli e la “circolare Maddalena”, perché quest’ultima si limitava a porre in coda alla calendarizzazione i processi “uccisi” dall’indulto, ma non a fissare regole temporali per dibattimenti “vivi”.
Ecco perché sarebbe stato preferibile sfruttare il clima di (apparente) dialogo tra maggioranza ed opposizione per mettere in cantiere quella che a tutti gli effetti è una riforma costituzionale. Siamo consapevoli della “ingenuità” politica di questa posizione, ma vi sono ambiti in cui procedere a colpi di decretazione d’urgenza (e comunque legiferare a maggioranza semplice) si dimostra velleitario, per usare un eufemismo. Invece ci attendono l’ennesima coazione a ripetere e l’abituale frastuono tribale, che lasceranno la situazione immutata ed il paese un po’ più intossicato. Per questo l’iniziativa del governo, a prescindere da alcune “coincidenze” temporali nella determinazione della data di “cutoff” dalla quale applicare la sospensiva (sarebbe stato utile disporre della distribuzione temporale dei procedimenti interessati dalla sospensiva, magari come documentazione tecnica a corredo della decisione governativa), appare poco meditata e frutto d’improvvisazione. Impossibile evitare di parlare di “eterno ritorno”, come fa Alexis, osservando la reiterazione di una
“(…) corsa insensata verso iniziative raffazzonate ed avventurose dal sapore spiccatamente personalistico che nel passato si sono sempre rivelate inutili e controproducenti, anche per gli stessi interessi processuali del Premier (né la legge sulle rogatorie né il lodo Schifani, decaduto per incostituzionalità, sono serviti a nulla, anche per la pessima formulazione, malgrado l’alto costo in termini politici).”
La sospensiva del processo Mills (con annessa sospensione dei termini di prescrizione) dura un anno. Una riedizione del “Lodo Schifani”, negoziata e concordata con l’opposizione del Pd, avrebbe avuto effetti più protratti, soprattutto con minore danno politico per la prosecuzione di una legislatura che si vorrebbe “costituente” nei fatti, più che nei logori riti e auspici dei gattopardi professionisti di entrambi gli schieramenti.
La domanda sorge spontanea: è possibile che Berlusconi sia così miope o ha solo dei pessimi consiglieri?