Se dovessimo scommettere sulla definitiva conclusione del feuilleton di Alitalia, dopo l’abbandono da parte della cordata guidata da Roberto Colaninno, non lo faremmo. Con buona pace di qualche speranzoso supporter del centrodestra, questo non è un paese per decisionisti veri. Nessun Reagan contro i controllori di volo, nessuna Thatcher contro i minatori. E’ un Truman show senza fine, dove apparire è essere. E dove vi sono molte verità ma nessuna verità. La crisi di Alitalia è vecchia di almeno un quindicennio, e dall’inizio del secolo ha subìto un’accelerazione, a cui i governi che si sono succeduti non hanno saputo rispondere in modo efficace e rispettoso dei contribuenti.
E’ utile ricordare che già nella legislatura 2001-2006 (centrodestra) vi fu una rappresentazione simulata di “privatizzazione”, con la discesa del Tesoro sotto il 50 per cento, e la sottoscrizione di un aumento di capitale da parte delle banche d’affari con le quali via XX Settembre ha un consolidato rapporto nella gestione dei collocamenti del debito pubblico, in un evidente do ut des. Venne introdotta la cassa integrazione per i dipendenti Alitalia, gli organici snelliti in modo poco più che simbolico. Poi si ricominciò, in un crescendo di distruzione di cassa culminato nella decisione del governo Prodi di cedere il controllo della società.
Bel proponimento, minato da subito dai demenziali paletti posti dalla sinistra estrema, e prontamente avallati da Prodi. Si giunge alla stretta finale, il prescelto è Air France-KLM, sulla base di una proposta di acquisto che avrebbe maggiormente tutelato l’erario, almeno a guardarne i numeri. Ad evitare spericolate riletture della storia è utile ricordare che la proposta Air France, anche in ipotesi di continuazione della legislatura, non avrebbe avuto nessuna possibilità di riuscita, di fronte al fuoco di sbarramento di sinistra e sindacati. In sostanza, la tentata vendita ad Air France è stata solo l’ennesima simulazione, parte di quell’ignobile teatrino che serve ad una classe politica inetta e cialtrona per giocare con le tasse dei contribuenti.
Inutile, oggi, che il Pd sospiri e recrimini su Air France. Se si fosse giunti al dunque, il partito di Veltroni sarebbe stato preso a randellate dai sindacalisti-satrapi che infestano questo paese e si sarebbe ritirato in buon ordine, magari organizzando qualche bel convegno (nel solito monastero umbro o toscano) sul liberismo che è di sinistra.
Ma quella tentata vendita fallì anche perché i sindacati trovarono un improbabile alleato in Silvio Berlusconi, che anziché sostenere Prodi nel superiore interesse dei cittadini-contribuenti (e metterlo in difficoltà in caso di cedimenti al sindacato), decise invece di intonare la canzone del Piave, per non far cadere il nostro paese vittima dei perfidi francesi, “nostri principali concorrenti sui flussi turistici”. Motivazione risibile o più propriamente ridicola, visto che l’Italia da ormai un decennio sta subendo una sistematica erosione di quote del mercato turistico, e ciò malgrado la crescita esponenziale del trasporto aereo, grazie alle low-cost ed alla capacità manageriale delle compagnie straniere.
Il resto della vicenda è noto: nasce una cordata di imprenditori che non hanno mai gestito un business maledettamente difficile come quello delle aerolinee, abituati soprattutto agli agi ed agli ozi delle concessioni governative, degli appalti pubblici e di generose tariffe, oltre alla promessa di un monopolio blindato grazie alla neutralizzazione di un Antitrust da sempre sdentato, e ad una riscrittura del diritto fallimentare che sfiora la follia. Oltre ad una procedura di valorizzazione dell’attivo da destinare alla NewCo da affidare ad una banca d’affari di cui i principali azionisti sono anche membri della cordata, nel paese del conflitto d’interessi endemico ed epidemico. Il partner straniero doveva fare come l’intendenza napoleonica, seguire.
Giunti al dunque della negoziazione, le nove sigle sindacali si spaccano, la Cgil gioca di sponda con le corporazioni di piloti e assistenti di volo, i ministri ed il commissario straordinario Fantozzi si esibiscono in un farsesco good cop-bad cop, con tanto di faccia feroce di Eni in versione recupero crediti, e alla fine Cai pensa bene di ritirarsi, vista anche la situazione economica globale. E ora? Se questo fosse un paese normale, il governo disporrebbe l’immediato avvio delle procedure concorsuali per Alitalia, organizzerebbe un’asta per lo spezzatino (anche per far respirare Malpensa e Fiumicino sugli slot) e si volterebbe pagina. Anche perché in un paese normale l’accusa di danno erariale a carico almeno dei due ultimi governi sarebbe qualcosa più di un’ipotesi di scuola.
Difficile credere che ciò possa accadere, anche guardando la sconcertante reazione da stadio di molti dipendenti Alitalia al momento della notizia dell’abbandono da parte di Cai. Delle due l’una: o queste persone soffrono di turbe psichiche che impediscono loro di percepire la realtà e la drammaticità del momento (e in tal caso i viaggiatori Alitalia avrebbero seri motivi di preoccupazione), oppure la loro gioia nasce dal razionale convincimento che anche questa volta l’avranno vinta, in un modo o nell’altro. Anche nel paese dei “nuovi decisionisti”, e del loro fondale di cartapesta. Vorrei ma non posso, do you remember?
E da oggi si ricomincia. Con il gioco delle ombre sulla caverna. Qualcuno ha già intravisto Luthfansa, British Airways, il sosia di Air France, FlyNiki. E il cocorito-portavoce, ormai tramutatosi in Clarinetto della Fattoria degli Animali, tornerà a rispondere a chi gli chiederà l’ora: “Ora? Si certo, ora il Pd che farà, seguirà Di Pietro?”
- Sul tema, vedi anche l’usualmente ineccepibile Alexis
- Amarcord: ma dove l’avevamo già sentito?