Poche idee, ma fisse e confuse

di Andrea Gilli

In uno dei suoi ultimi articoli Christian Rocca ripete, come una sorta di Honecker del nuovo secolo, che c’è una sola via alla Salvezza: la “Dottrina Bush”.

Bistrattata dalla storia, abbandonata dai suoi stessi sostenitori (intellettuali – come Robert Kagan, nel suo ultimo libro) e politici (Bush in primis), la Dottrina Bush è ormai divenuta una delle tante pratiche riposte nel cassetto della storia. Ha creato tanti danni che nessuno la prende più seriamente in considerazione – tranne uno, lui, il tetragono Rocca, the scholar of neoconservatism, l’uomo che ha solennemente promesso a sé stesso di non dire mai “ho sbagliato”, cascasse il mondo.

Nel testo Rocca sostiene dapprima che la dottrina Bush è l’unica soluzione esistente alla minaccia posta dall’Islamismo radicale. Poi, per confermare la tesi, afferma che l’unico successo degli ultimi anni, la surge di David Petraeus, ne è infatti figlia.

In primo luogo, osserviamo come questa dottrina sia davvero notevole. In otto anni avrebbe raggiunto un solo risultato, peraltro dopo 4 anni di reiterati disastri. La rivoluzione dei cedri, delle rose, quella arancione, l’Iran che voleva la democrazia (era pronto, come diceva il sodale fogliante Michael Ledeen, quando non era occupato a brigare con i servizi segreti), gli iracheni che ci avrebbero accolti a braccia aperte, gli afghani che volevano donarci le loro menti ed i loro cuori sono tutti scomparsi dalla lista degli achievements, sostituiti dalla costante erosione della posizione strategica americana in Medio Oriente e non solo. Ma la “Dottrina Bush” rimane sempre e comunque foriera di successi. Sarà.

Il problema è che se Rocca avesse un minimo, ma proprio un minimo, di dimestichezza con gli argomenti che tratta, saprebbe che mai realtà fu più distante da quella che tenta quotidianamente di propinarci con ossessiva ripetitività.

La dottrina Bush, come la intende lui, afferma che bisogna combattere e mai allearsi con i nemici – i quali sono identificati nelle dittature e in chi condivide e diffonde ideologie autoritarie e fanatiche: da Saddam a Bin Laden, dall’Iran ai saddamiti iracheni.

La dottrina Petraeus afferma l’esatto contrario. Per Petraeus, infatti, bisogna allearsi con chiunque pur di abbattere il nemico. Infatti, il generale americano ha avuto successo perché è riuscito a reclutare tra le proprie fila bande di saddamiti e tribù sunnite, così da contrastare e schiacciare al-Qaeda; ha siglato un patto più o meno segreto con l’Iran per contenere gli sciiti iracheni più vocali e, recentemente, ha detto chiaramente di voler trattare con i talebani per portare stabilità in Afghanistan. Il suo mentore, Robert Gates, oltre ad aver firmato il famoso Iraqi Study  Group Report, che Rocca ha sempre negletto, ha scritto in questi giorni su Foreign Affairs un pezzo paradigmatico della sua visione della politica estera americana. Vale la pena leggere l’estratto più interessante:

I have learned many things in my 42 years of service in the national security arena. Two of the most important are an appreciation of limits and a sense of humility. The United States is the strongest and greatest nation on earth, but there are still limits on what it can do. The power and global reach of its military have been an indispensable contributor to world peace and must remain so. But not every outrage, every act of aggression, or every crisis can or should elicit a U.S. military response.

Se c’è qualcosa che è esattamente agli antipodi del neoconservatorismo sono queste parole, che peraltro rigettano il “Nation Building under fire. Non è un caso che gli USA siano andati meglio in Iraq appena si sono sbarazzati della visione manichea che vede nell’onnipotenza e nel continuo interventismo militare americano il fulcro attorno al quale far girare la Grand Strategy di Washington. La cosiddetta Dottrina Bush è una collezione incoerente di precetti estratti da una serie molto dolorosa di trial and error. Certo, date queste premesse, non c’è praticamente nulla nella storia della politica estera americana degli ultimi sessant’anni che non possa essere avvicinata ed assimilata ad almeno uno dei vari frammenti della “Dottrina Bush”. Incluso il regime change nei suoi vari strumenti di intervento, che spaziano dal soft power delle trasmissioni radiotelevisive alle operazioni coperte della Cia.

Ma Rocca questo continua non capirlo, prigioniero com’è del suo personaggio di preveggente “analista” del giorno dopo.

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