E’ ufficiale: Umberto Bossi è il nuovo Ghino di Tacco. Se ne sono accorti in pochi, finora, eppure è così almeno da quando, a fine 1994, il Senatur si mise con D’Alema & compagni, defenestrando il Berlusconi I. Nell’attuale assetto partitico italiano c’è assai poco che garantisca dal ritorno di una spartitocrazia ricattatoria, anche considerando che (come nelle attese) nulla è stato fatto per “mettere in sicurezza” bipolare almeno i regolamenti parlamentari, aldilà di boutade come quella sui capigruppo che votano per tutti.
Lasciare alla Lega l’enorme potere di ricatto acquisito negli ultimi anni significa spingere il paese verso un cosiddetto federalismo fiscale che in realtà è solo un monstruum di finanza derivata con moltiplicazione di livelli di governo e di spesa irresponsabile. Peccato che il premier non abbia avuto gli attributi per andare a vedere il bluff leghista: crisi di governo oggi, con questa situazione economica mondiale e gli effetti del sisma in Abruzzo? Prego, accomodatevi. Con questo cedimento al diktat leghista si è riprodotto quanto visto nei disgraziati anni dei governi Prodi, mutatis mutandis. Che esista un trade-off tra governabilità e rappresentatività è del tutto fisiologico nelle democrazie occidentali. Assai meno fisiologico è lasciare a Ghino di Gemonio ed al suo 4 per cento tutto questo potere di interdizione, e poi rivendicare l’utilizzo dissennato della decretazione d’urgenza, perché “il parlamento non funziona”. E’ un problema di alfabetizzazione democratica ed istituzionale, si direbbe.
Da oggi abbiamo la “Bossi-Tax“. Molto più onerosa di quella sui “super-ricchi”, e non limitata all’eventuale, risibile gettito derivante dal “contributo” di solidarietà a carico dei “plutocrati” da 130.000 euro lordi annui. Per questo occorre sostenere il referendum Segni-Guzzetta. Peccato che, in questo periodo, nel Pdl sia solo Fini a comportarsi da statista.