Debiti solenni

Nei giorni scorsi il presidente francese, Nicolas Sarkozy, parlando a Versailles davanti al parlamento riunito in seduta comune, ha stigmatizzato la “politica del rigore”, che curiosamente egli tende a identificare con l’aumento delle imposte (principio fedelmente e non casualmente riprodotto dal nostro premier, giorni addietro), ed ha distinto un po’ manieristicamente tra deficit “cattivo”, frutto di non meglio precisati “sprechi”, e quello causato dalla recessione. Obiettivo deve essere l’azzeramento del primo, e l’utilizzo virtuoso del secondo. E’ la scoperta dell’acqua calda e del concetto di stabilizzatori automatici, ma nella migliore tradizione francese l’enunciazione solenne di banalità fa sempre un certo effetto.

Sarkozy ha annunciato il rimpasto di governo (avvenuto mercoledì 24) e l’identificazione, al termine di una “concertazione” che durerà tutta l’estate, di alcune grandi priorità strategiche per il futuro della Francia, per il cui finanziamento (anche considerato che il rapporto deficit-Pil francese è in viaggio verso il 7 per cento), il presidente pensa ad un prestito nazionale. Anzi, ad un Grand Emprunt, per restare in tema di grandeur. Ammetterete che c’è una certa differenza tra dire che deficit e debito aumenteranno per finanziare futuri investimenti infrastrutturali e lanciare un Grande Prestito per l’Avvenire di Francia, rigorosamente con le maiuscole.

Dal momento del lancio dell’idea di Sarkozy, è iniziato nel paese un furibondo (e assai tradizionale) dibattito sulla natura e la destinazione di questo indebitamento aggiuntivo. La ministra della Giustizia, Michèle Alliot-Marie, ha proposto di utilizzare parte del prestito per migliorare lo stato “deplorevole” delle prigioni francesi. Investimento necessario, ma non esattamente innovativo. Come invece quelli identificati dal premier François Fillon davanti agli imprenditori: biotecnologie, digitale, ecotecnologie, auto del futuro. Fillon è stato particolarmente attivo nel differenziare questo debito aggiuntivo da quello esistente. Il nuovo debito non sarà una nuova manovra anticrisi, bensì qualcosa di completamente differente, una discontinuità epocale, proprio perché finalizzata a finanziare gli investimenti che innalzeranno la crescita francese di lungo periodo. Un espediente dialettico che ricorda molto quel “downpayment“, l'”acconto” obamiano relativo alle grandi riforme di struttura, come quella sanitaria.

Ma si discute soprattutto dei termini del finanziamento aggiuntivo, ad esempio se debba trattarsi di un'”operazione patriottica”, cioè se il prestito debba essere emesso a tassi inferiori a quelli di mercato. La risposta dei francesi pare essere inequivocabile, anche se la nettezza del rigetto dell’idea potrebbe essere legata alla eventualità di un prestito a tasso fuori mercato. Anche se è sempre possibile (almeno formalmente) collocare il nuovo debito fuori dal perimetro dei moribondi parametri di Maastricht (usando ad esempio la Caisse des Dépots et Consignations, che è l’equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti), questo dibattito francese, pur con le sue peculiarità, bene riassume la drammaticità delle scelte di finanza pubblica e sostegno alla congiuntura che i governi dovranno compiere.

Al nuovo mood di espansione fiscale francese si contrappone poi la balzana idea tedesca di costituzionalizzare il pareggio di bilancio, di fatto indipendentemente dalla fase del ciclo. Se le due posizioni saranno mantenute, come segnala Wolfgang Munchau, possiamo attenderci la progressiva “cattura” del risparmio tedesco da parte del debito francese, la fine dell’Unione Europea, e la riproposizione del paradigma sino-americano: un paese spende e consuma, l’altro risparmia ed investe il surplus commerciale in passività del paese-cicala. Se Sarkozy pensa di aver trovato in tal modo la quadratura del cerchio, il risveglio rischia di essere piuttosto ruvido.

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