I piccoli risparmiatori rimasti coinvolti nel crack Alitalia hanno deciso di intentare una causa civile, la cui prima udienza sarà il 13 ottobre, contro gli ex amministratori del vettore per falso in bilancio, irregolarità e “mala gestio“. Emolumenti, fissi e variabili, pari a multipli di quelli percepiti dai manager di altri vettori con i conti in ordine. Secondo i legali dei risparmiatori,
«Risulta chiaro come gli amministratori delegati, e lo stesso consiglio d’amministrazione, hanno sempre avuto interesse a conservare il proprio incarico con assoluta incuria di una sana e produttiva gestione della società»
Questo passaggio è interessante, perché accomuna le azioni di risparmiatori e manager in un unico alibi: la proprietà pubblica.
I primi hanno infatti comprato i “Mengozzi bond” ritenendo che la presenza del Tesoro dietro Alitalia avrebbe reso asimmetrico a loro vantaggio il payoff dei bond: solo rialzi e nessun ribasso, grazie alla protezione implicita offerta dall’azionista di controllo. I secondi hanno potuto regalarsi compensi del tutto sganciati dalla realtà, prima che dalla redditività aziendale, per gli stessi motivi. Esiste quindi una precisa responsabilità politica, indipendente dal colore dei governi, nella catastrofe della vecchia Alitalia. Una responsabilità che porta inevitabilmente a via XX Settembre, l’azionista di controllo della vecchia Alitalia.
L’uomo per tutte le stagioni di questo danno erariale è Giancarlo Cimoli, detto Diesel, una lunga carriera nei carrozzoni di stato operanti in regime più o meno ipocritamente privatistico. Ne abbiamo scritto: nominato dal governo Prodi alla guida di Trenitalia, ottiene alcuni stentati pareggi di bilancio (sotto l’immancabile diluvio di sussidi pubblici) ed una buonuscita di 6,7 milioni di euro, a titolo di “conseguimento degli obiettivi”. L’assegno gli viene firmato dall’allora inquilino del ministero del Tesoro, Giulio Tremonti, il quale nell’estate 2005, appena rientrato al ministero dopo il confino impostogli dallo scontro con Gianfranco Fini, pensa bene di porre cotanto risanatore in Alitalia con l’avallo di Silvio Berlusconi, che all’epoca definì Cimoli “la persona giusta” per la compagnia di bandiera.
Nel febbraio 2007 Cimoli lascia un’Alitalia agonizzante, dopo che il governo Prodi (corsi e ricorsi storici), dopo la decadenza del consiglio d’amministrazione, non gli rinnova la fiducia. Prodi, per mano del ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, trova tuttavia del tutto naturale pagare a Cimoli una buonuscita di 3 milioni di euro.
Oggi i risparmiatori tentano di rivalersi sul management della vecchia Alitalia, ma è del tutto evidente dove stanno le responsabilità vere, pur se non perseguibili in un’aula di tribunale. Nel frattempo Tremonti, dopo un intervento di chirurgia plastica, riacquista la verginità moralistica e tuona quotidianamente contro i super compensi ai manager. L’Italia, un paese di smemorati, dentro e (soprattutto) fuori il Palazzo.