Hanno un bel dire, i difensori ad oltranza del governo, mentre scalano pareti di vetro tentando di magnificarne l’opera tra un dossier mediatico e l’altro, tra un annuncio di mirabolanti riforme “reaganiane” a base di flat tax (che coprono di ridicolo soprattutto chi le ipotizza) e una realtà fatta di lacerazioni interne ad una maggioranza numericamente amplissima ma politicamente sempre più gracile, minata dalla vigorosa azione di vampiraggio praticata dalla Lega Nord, nella benevola negligenza del premier, e dai segni di inquietudine, che rischia di divenire aperta rivolta, delle cosiddette classi dirigenti delle regioni meridionali, minacciate di asfissia da una crisi fiscale sempre più evidente, e che sono quindi costrette ad organizzarsi in forme pseudo-partitiche per portarsi a casa le briciole di una torta sempre più piccola.
Il ministro dell’Economia è tornato a mettersi all’angolo, proprio come accaduto nell’ultima esperienza governativa. Problemi caratteriali uniti ad una ormai conclamata incapacità di comprendere le macro- e meta-dinamiche delle nostre società e dei nostri sistemi economici, soprattutto in questa congiuntura storica, stanno determinando quella stessa coazione a ripetere che, un paio di legislature addietro, era stata imputata all’Udc di Casini e Follini. Il problema non era evidentemente quello, oggi ne abbiamo conferma. E non si presti orecchio alla leggenda metropolitana di un Tremonti che “mette i conti in sicurezza per tre anni”. I conti sono tutt’altro che in sicurezza, è solo che il ministro dell’Economia non è né folle né criminale da scassarli definitivamente.
Governare vuol dire prendere decisioni anche impopolari, non seguire i sondaggi, né assommare ed assemblare una serie di constituencies, tentando poi di punire quelle dissenzienti. Avendo scelto di non considerare gli elettori come soggetti adulti, il premier ha deciso di ricorrere alla realtà virtuale e ad abbondanti dosi di cospirazionismo, che evidenziano ogni giorno di più natura e portata del suo conflitto d’interessi, oltre ai suoi limiti (per usare un eufemismo) come statista. Il grado di involuzione del dibattito pubblico in questo paese ha ormai toccato il punto di non ritorno. Il momento di capire cosa vogliamo fare da grandi sta rapidamente approssimandosi.
Conosciamo l’obiezione: dall’altra parte c’è il vuoto pneumatico, frasi fatte di demagogia neopauperista, la fascinazione per l’uso della leva fiscale, sempre e comunque, l’incapacità a tutelare i “produttori” ed anche solo a capire cosa è la classe media, figuriamoci ad interpretarne i bisogni e le attese. Guardando alle difficoltà dei due schieramenti, si ha sempre più netta l’impressione che siamo prossimi ad una disarticolazione del sistema partitico ed alla sua ennesima ricomposizione, che verrà razionalizzata come al solito, cioè tentando di sovrapporle un nuovo modello elettorale. Nell’attesa, prepariamoci a fortissime sollecitazioni alla nostra architettura costituzionale.