Elogio dell’impagliatore

Su la Stampa, Luca Ricolfi sembra prendere le parti di Giulio Tremonti nella contesa che oppone il ministro dell’Economia a quello della Funzione Pubblica e dell’Innovazione, Renato Brunetta. Diciamo sembra perché le considerazioni di Ricolfi non sono esattamente una medaglia al valore per l’esecutivo. Il governo, dice l’editorialista nonché accademico torinese, sta perseguendo una strategia di “morte apparente”, come quella a cui ricorrono alcuni animali minacciati di predazione.

Dopo aver passato in rassegna i catastrofici errori strategici del governo Prodi (anche noi a nostra volta non smetteremo mai di farlo, perché quel biennio è stato lo spartiacque tra la possibilità di rilancio e la ricaduta agli inferi), Ricolfi considera la strategia tremontiana il minore dei mali rispetto alle alternative. Ma questa è una chiave di lettura troppo benevola verso il governo e, soprattutto, verso il premier.

Possiamo convenire sull’assenza di un’alternativa chiamata Pd (un ossimoro), ed anche sulla improbabilità della “finanziaria alternativa” elaborata nei giorni scorsi da Mario Baldassarri. Sulla strategia di Brunetta possiamo invece convenire: ad esempio, non ha senso impiccare enti locali virtuosi ad uno stupidissimo patto di stabilità interno che per contenere la spesa corrente finisce con lo strangolare gli investimenti. Quello su cui dissentiamo recisamente da Ricolfi, è la motivazione pop che egli utilizza:

«Se le riforme non decollano è innanzitutto perché gli italiani che le temono sono di più di quelli che sarebbero pronti a sostenerle davvero, accettandone i rischi, le tensioni, i prezzi da pagare. E proprio per questo uno schieramento politico riformista diverso dal partito della spesa, al momento, non esiste ancora. Le riforme che servirebbero richiedono coraggio, e nessun governo ne avrà mai abbastanza finché l’opposizione sarà come quella, faziosa e pregiudiziale, che Prodi e Berlusconi hanno incontrato sui rispettivi cammini»

Questo è un bel calderone gigante, dove mettiamo a bollire soprattutto il cerchiobottismo. Ricolfi, infatti, sembra dimenticare che compito di un governo responsabile non dovrebbe essere quello di spargere al vento ottimismo a piene mani, “per vedere di nascosto l’effetto che fa” sui sondaggi. Un governo, soprattutto un governo italiano, deve parlar chiaro ad elettori adulti. E questo è il peccato capitale di questo governo e di questo premier: governare per sondaggi e gradimento. Poi, se proprio vogliamo dircela tutta, e dirla anche a Ricolfi, che come number cruncher è certamente più abile che come sociologo o economista, quando un governo ed una maggioranza hanno come strategia attivamente perseguita quella di scrivere controriforme sotto dettatura delle corporazioni, voi capite che questi sociologismi del “popolo che non vuole soffrire” vanno lievemente a farsi benedire, per non usare altri verbi più efficaci ma meno urbani.

Il governo ha una vastissima maggioranza? Si, ma ce l’aveva anche nella legislatura 2001-2006, ricordate? Anzi no, allora c’era l’Udc, oggi ci sono gli odiati finiani criptocomunisti. Forse in entrambe le legislature c’era soprattutto un convitato di pietra: la realtà. E quella ti fa male, lo sai. Anche per questo noi restiamo favorevoli ad un bel lodo costituzionale che rimuova dal tappeto il problema dei processi al premier. In primo luogo, perché ciò eviterebbe di scassare definitivamente la nostra sgangherata organizzazione della giustizia, oltre alla tutela dei diritti di proprietà, in un modo che nemmeno in Somalia. In secondo luogo perché, come dicono gli americani, quando il livello dell’acqua nella piscina scende, si vede subito chi indossa il costume. E allora il nostro popolarissimo premier non avrebbe più alibi. Ovviamente ipotizzando, un po’ eroicamente, che gli italiani votino con il portafoglio (come nel resto del mondo sviluppato), e non con alcune parti anatomiche poco nobili.

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