Nuovo fulminante post di Massimo Gramellini, che temiamo possa presto essere esiliato per la sua ormai incontenibile improntitudine verso l’uomo che ha bevuto l’amaro calice e ci ama tutti dal profondo, e che oggi urla il suo “basta” contro gli intralci che “dipendenti pubblici”, quali sarebbero i magistrati, frappongono alla geometrica potenza dell’amore governativo.
Il magistrato come perniciosa specie di fannullone: ma non come fannullone “basic“, quello che sceglie l’inazione tipica degli altri suoi colleghi della P.A., bensì come fannullone “2.0”, quello che sceglie l’azione in spregio e sfregio del leggendario “mandato popolare”, quello nel cui nome agisce il premier.
Siamo certi che in pochi si rendono conto di quanto tali similitudini possano essere corrosivamente penetranti nella formazione dell’opinione pubblica meno avvertita e meno dotata di anticorpi. Ma la magistratura non era un potere dello stato, come sosteneva quel bolscevico di Montesquieu? E soprattutto, ruoli e funzioni di stato e governo possono coincidere in Corea del Nord, non in Occidente. Ma quanti lo sanno, in questa Italia confusa e infelice, tra un immaginario primato economico, un premio taroccato di Uomo dell’Anno e telegiornali che narrano quotidianamente le gesta dei nostri piccoli e grandi compagni domestici, cani e gatti?
Gramellini tenta di farsi capire utilizzando la similitudine dell’azienda, che forse il premier afferra meglio:
«Nessuno può lavorare in un’azienda privata perseguendo interessi diversi da quelli del manager scelto dall’azionista. Nelle aziende pubbliche invece succede. E sa perché? Perché gli azionisti di uno Stato sono i cittadini. I quali scelgono il manager, cioè il premier, cioè lei, tramite libere elezioni. Ma nell’ingaggiarlo non gli delegano ogni potere. Soprattutto non gli riconoscono quello di considerare alle proprie dipendenze chiunque riceva uno stipendio pubblico. Per dire: i prefetti sono assistenti del manager e devono obbedirgli. I giudici no. I cittadini azionisti li pagano per applicare la legge a chiunque, anche al manager che gli stessi cittadini hanno assunto. E al fine di garantire la massima indipendenza a questi dipendenti molto particolari, rinunciano persino a nominarli direttamente. Follia pura, lo so. Si chiama democrazia. Il peggiore dei regimi, esclusi tutti gli altri: lo sosteneva già Churchill, un comunistaccio che le raccomando»
Ma in un’azienda chi sarebbero i giudici? Azzardiamo: il collegio sindacale. Che temiamo molti penseranno essere, per vaga assonanza, un’epifania (nel senso di Epifani). Ricordate cosa è liberalismo, tra le altre cose? Ve lo rinfresca Popper:
«Il liberale, secondo Popper, non si pone mai l’interrogativo “Chi deve comandare?”, interrogativo che invece si sono posti tutti i totalitari, da Platone a Marx, rispondendo ad esso, di volta in volta, in modo diverso: i filosofi-re, il proletariato, una razza, i tecnici ecc.
La domanda che gli sta a cuore è tutt’altra: “Come controllare chi comanda?”»
Ecco: liberalismo è “come controllare chi comanda“. Nozione che nel folle zeitgeist italiano, fatto di conflitti d’interesse elevati a pervasivo sistema, ha finito con l’essere considerata il prodromo del comunismo. Mala tempora currunt.
P.S. Una precisazione sul titolo di questo post, anche per rispondere alle perplessità ed alle critiche di alcuni lettori: Gramellini non è evidentemente un eroe (non ancora, almeno), ma in un paese “normale” ed occidentale non dovrebbero neppure leggersi questi post sulle vocazioni nordcoreane di un primo ministro. Così come in un paese “normale” ed occidentale un governo non governa per via emergenziale o creando delle SpA pubbliche, sottraendole alla Corte dei Conti. Intitolare il post “Nel mondo di Kim Jong Silvio” sarebbe stato più pregnante, ma fuori dai canoni di questo sito. Almeno per ora.