Giorgio Bernanke

E così, abbiamo appena appreso che il Pdl è too big to fail. Può essere, a noi da tempi non sospetti pare l’opposto. A noi pare che il Pdl si sia inesorabilmente posto su un piano inclinato, e con sé vi abbia posto l’intero paese. Il Pdl non è too big to fail, per molti aspetti è già un partito fallito. La tragedia è che, come ogni incumbent dedito ad abuso di posizione dominante, il Pdl promette di portare a fondo con sé il paese ed il suo sistema istituzionale. Continua l’equivoco di un premier convinto che il consenso di cui gode lo legittimi a disinteressarsi delle regole.

Conta solo l’unzione popolare, poco importa che per il paese questo modo di stare al mondo equivalga sempre più ad una estrema unzione. Di incertezza del diritto, cioè di arbitrio, si muore, anche in un paese da sempre assai poco avvezzo al rispetto delle regole, quale è il nostro. Soprattutto quando si tratta di regole sostanziali e non formali, quali quelle violate in senso assoluto e inescusabile nel Lazio. Il Pdl oggi è diventato un partito imperiale, meglio sarebbe dire un partito nordcoreano, più che semplicemente comunista: guidato da un dominus, densamente popolato di fedeli esecutori dediti al culto della personalità del Leader, che hanno da tempo spento la fiamma del dibattito interno, temendo l’emarginazione e con essa di perdere le piccole e grandi prebende che la partecipazione al sistema di potere implica.

E come in ogni partito nordcoreano che si rispetti, il legame con la realtà è stato reciso da tempo. C’è ad esempio questo continuo sciacquarsi la bocca con la “tolleranza zero” verso tutto e tutti, salvo che verso i propri errori. Perché in quel caso c’è sempre un nemico esterno, contro cui stringersi a coorte, al momento dell’esito del “giudizio divino” delle urne. La legge è uguale per tutti, ma alcuni sono più uguali di altri: dopo il massiccio ricorso alla neolingua ed al bispensiero, il processo di orwellizzazione del Pdl e della maggioranza (visto che la Lega il suo “Caro Leader” lo ha da sempre) prosegue a tappe forzate. Dio lo vuole, il Popolo lo vuole. L’esito pressoché scontato è che, alla prima occasione utile, la dialettica interna assume le forme più imprevedibili, incluso l’arrivare fuori tempo massimo a depositare le liste di una consultazione elettorale. Ogni ingranaggio incontra sempre il suo granello di sabbia, prima o poi.

La seconda tragedia italiana è la condizione dell’opposizione: buona a nulla, indecisa a tutto. Incapace di elaborare un progetto per il paese, talmente screditata da mantenere ancora nel campo avverso quella parte molto mobile di elettorato centrista che potrebbe fare la differenza. Un’opposizione capace solo di riflessi condizionati, anche di fronte a situazioni che tali riflessi non richiederebbero, stante la loro irrilevanza ai fini pratici.

No, il Pdl non è too big to fail, caro presidente Napolitano. Certo, lo si può puntellare come sono state puntellate le grandi ed interconnesse banche americane, violando regole di ogni tipo. Ma il conto lo pagherà comunque quel simulacro che è la democrazia italiana, è solo questione di tempo.

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