Un’America sempre più italiana

Oggi è Indipendence Day. Un giorno per ricordare cosa è diventata l’America. Un paese piagato da una crisi epocale, frutto di avidità e comportamenti esplicitamente truffaldini, come ad esempio quelli che portavano a concedere i cosiddetti “mutui Ninja”, cioè a debitori “No income, no job and asset“, cioè privi di capacità di rimborso. Poi venne il tempo dei sussidi, per tenere in vita il “sogno americano”.

Ad esempio il credito d’imposta di 8000 dollari per acquirenti di prima casa, scaduto lo scorso 30 aprile. Costoso oltre ogni decenza, viziato da frodi di ogni genere, con il credito erogato anche a detenuti che mai sono usciti dal carcere per compiere l’atto giuridico dell’acquisto, in quanto ergastolani, o a minori e defunti, come nella migliore tradizione italiana dei ciechi che leggono il giornale al parco.

Il legislatore americano ha fatto e continua a fare la propria parte: il primo luglio, il Senato ha prorogato di altri tre mesi il periodo necessario per perfezionare compromessi immobiliari stipulati entro la scadenza del 30 aprile. Pensate quanti falsi per retrodatazione avverranno da qui ai prossimi 90 giorni. Ma l’America è sempre più italiana (e viceversa) anche per altri aspetti. Ad esempio, per il fenomeno delle sliding doors, un conflitto d’interesse piuttosto insidioso, in base al quale banchieri d’affari vanno a fare i regolatori e controllori a Washington e ritorno, giusto il tempo necessario per scrivere “riforme” e regole del gioco inevitabilmente fallate. Ed è un tratto bipartisan, da Bob Rubin con Clinton ad Hank Paulson con GWB.

E’ il morbo del conflitto d’interesse, quello che causa il declino delle nazioni. Pensate, a casa nostra, a quanto accade nelle authorities: presidenti che vengono continuamente prorogati dal governo, per poi finire con un confortevole strapuntino di presidente delle Ferrovie, ruolo pressoché privo di deleghe gestionali, all’età in cui normalmente gli alti magistrati sono in pensione da un anno. Oppure lo spostamento da un’Autorità all’altra interrompendo bruscamente il proprio mandato, per accettare l’offerta dell’esecutivo, col quale invece il regolatore non dovrebbe avere alcun rapporto, se non nelle sedi e circostanze istituzionali. Tutti “incentivi” che servono a creare una classe di regolatori professionisti che rapidamente baratta la propria indipendenza con le prebende tipiche delle caste.

Nulla di paragonabile a quanto accade in altri paesi, come la Svezia, dove ad esempio ai membri del board della banca centrale è fatto divieto di accettare, alla scadenza del proprio mandato, qualunque nomina governativa. Ma quelli sono paesi socialdemocratici nell’anima, quindi per definizione illiberali, giusto? O forse il vero liberalismo, quello che, come il diavolo, si nasconde in “particolari” come il conflitto d’interessi, è emigrato dagli Stati Uniti, ormai consegnati ad un’oligarchia trionfante, anche quando manda a picco l’economia e le vite di milioni di persone.

Buon 4 luglio, paisà.

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