Effetto-S&P o effetto-Ricolfi?

Oggi qualcuno fa notare che i nostri Btp, dopo il downgrade per opera di S&P, hanno messo a segno un rally impressionante, più o meno come accaduto ai Treasuries americani dopo che lo zio Sam ha perso la tripla A, lo scorso agosto, sempre per mano dell’agenzia di rating che “esprime gli interessi americani ed anglosassoni”  (cit.). In attesa che la procura di Trani scopra i motivi di questo movimento, noi possiamo segnalare ai piccoli grandi politicanti di casa nostra, quelli che trovano causalità in ogni correlazione, che c’è forse un ben più potente indicatore anticipatore di questi movimenti: un sociologo editorialista che si occupa di number crunching ed ha molto seguito, tra quella parte di opinione pubblica italiana che ha fatto studi classici.

Scriveva dunque l’ottimo Luca Ricolfi, il giorno di San Silvestro, quando lo spread tra Italia e Spagna era sprofondato all’umiliante livello di 200 punti base:

«In Spagna c’è stato un cambio di governo che promette di aggiustare il bilancio prevalentemente dal lato della spesa, alleggerendo vincoli e pressione fiscale sulle imprese. In Italia c’è stato un cambio di governo, da destra a “non-destra” che […] ha già dimostrato di puntare il grosso delle sue carte sull’aumento delle tasse. […] Forse, se i mercati hanno punito l’Italia, non è nonostante la manovra di Monti ma – in un certo senso –  a causa di Monti. La credibilità di Monti, la sua serietà, il suo coraggio non sono bastati per la semplice ragione che i mercati hanno colto l’impianto recessivo della manovra nonché il carattere tuttora evanescente della cosiddetta “fase 2”, quella che dovrebbe rilanciare la crescita»

Concetto ribadito il 5 gennaio, quando lo spread tra Italia e Spagna era sceso a 145, e Monti dopo un mese a mezzo a Palazzo Chigi non era ancora riuscito a camminare sulle acque, ma nel frattempo ci si era pure accorti che la manovra spagnola non era fatta di soli tagli di spesa ma, per quasi la metà, di inasprimenti di imposta (segnatamente di Irpef, anche sui contribuenti meno abbienti), e con tagli di spesa fortemente aleatori, simili a quelli in cui il nostro paese è da sempre campione. Si imponeva, quindi una correzione ricolfiana, preservando tuttavia la chiave di lettura politica:

«E la Spagna? Il premier neoletto, Mariano Rajoy, è vero, non è stato capace di mantenere la promessa di non introdurre nuove tasse, però è riuscito a varare una manovra costituita prevalentemente da riduzioni di spesa, con un peso delle nuove tasse fermo al 42 per cento. Che i mercati abbiano apprezzato?»

Certo, da uno studioso di “analisi dei dati” quale è Ricolfi, ci si sarebbe aspettata un’analisi basata sul valore attuale di tagli di spesa italiani, quelli previdenziali, che nel lungo periodo sarà imponente grazie all’adozione del sistema contributivo pro-rata per tutti. Da un simile approccio si sarebbe scoperto che la manovra italiana è meno drammaticamente squilibrata dal versante delle entrate (che sono comunque troppe, detto per inciso). Divagazioni a parte giungiamo ad oggi, anzi a ieri, cioè in un contesto di spread italiani in continua riduzione contro Germania e, soprattutto, contro il “modello spagnolo” tanto caro a Ricolfi. Il quale, d’improvviso, perde le antiche certezze metodologiche:

«Da circa due settimane lo spread italiano non si limita a beneficiare della boccata di ossigeno che i mercati stanno concedendo a diversi Paesi dell’area Euro, ma sta migliorando la sua posizione relativa rispetto a diversi paesi. Se anziché calcolare lo spread (rispetto alla Germania) calcoliamo lo “spread dello spread”, ossia il nostro grado di penalizzazione rispetto alla media di Spagna, Francia e Belgio, non possiamo non registrare con soddisfazione che nelle ultime due settimane la nostra situazione è migliorata di 54 punti base, che salgono a 76 se il confronto è con la sola Spagna, un Paese rispetto al quale, fino a pochissimo tempo fa, eravamo invece in costante peggioramento. È difficile stabilire con certezza a che cosa si debba questa sorta di inversione del giudizio dei mercati, ma è difficile negare che gli ultimi segnali siano relativamente confortanti: la situazione è sempre gravissima (paghiamo oltre 4,3 punti di interesse più della Germania), ma il trend delle ultime due settimane è decisamente incoraggiante»

Talmente incoraggiante che oggi lo spread tra Italia e Spagna è a soli 64 punti-base, minimo dallo scorso 8 dicembre. Ma come, non eravamo stati puniti a sangue dalla nostra morbosa vocazione gabelliera, la ferale (e condivisibile) inferenza ricolfiana emersa dietro lo stile studiatamente laico di alcune domande rigorosamente retoriche? Si conferma quindi che il Medioevo incombe ormai su di noi: abbiamo perso tutte le nostre certezze, che ora dovremo faticosamente ricostruire. Per contribuire a questo sforzo offriamo la nostra teoria, pronti alla sua falsificazione: lo spread italiano stringe a causa del downgrade di S&P oppure a seguito delle valutazioni negative di Ricolfi sull’Italia. E ora coraggio, faites vos jeux!

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