Mentre siamo ufficialmente entrati nelle quattro settimane (o giù di lì) che porteranno alla implementazione delle misure concordate tra Grecia e Troika per attuare il secondo salvataggio, e mentre attendiamo che anche questo fallisca sotto i colpi della austerità depressiva, anche dall’austeramente virtuoso Portogallo giungono brontolii sordi, presagio di una lacerazione del clima di unità nazionale con la quale il paese si è diligentemente sottoposto al “risanamento”.
Hanno cominciato i socialisti, per bocca del loro segretario Antonio Seguro, chiedendo che il paese abbia “un altro anno di tempo” per convergere verso l’equilibrio di bilancio. A ruota i sindacati hanno annunciato il secondo sciopero generale di 24 ore negli ultimi cinque mesi. Il presidente della confederazione industriale ha ipotizzato che al paese potrebbero servire altri 30 miliardi di euro, mentre esponenti di primo piano del Partito comunista si apprestano a chiedere più tempo, più denaro e meno tassi d’interesse alla delegazione della Troika che sarà a Lisbona da domani per la valutazione trimestrale dello stato di avanzamento dell’aggiustamento fiscale strutturale del paese. Pensate: in Portogallo persino i comunisti sono equilibrati e giudiziosi.
Anche nel caso del Portogallo vale quanto detto per la Grecia: base di export molto esile, scarsa efficacia del processo di deflazione interna, enorme indebitamento pubblico e privato, soprattutto delle imprese pubbliche che operano fuori dal perimetro della pubblica amministrazione. Non solo: in conseguenza della crisi delle banche, anche i finanziamenti alle esportazioni sono evaporati. Il paese dovrebbe avere chiuso il 2011 con un simbolico avanzo primario del bilancio pubblico, frutto però in misura preponderante di misure una tantum, come l’avocazione al settore pubblico di fondi pensione di imprese pubbliche operanti in regime privatistico. Ma il deficit delle partite correnti del paese resta una voragine. A questo punto, i tempi appaiono maturi per una iniziativa formale nei confronti della Commissione europea per valutare il rapporto deficit-Pil corretto per il ciclo economico. Così facendo sarebbe possibile apprezzare il reale progresso compiuto dai paesi in assistenza finanziaria, Grecia inclusa. Diversamente, continueremo a trovarci in una condizione in cui la stretta fiscale provoca crollo del Pil, che provoca nuovi buchi di bilancio che causano nuove strette fiscali, eccetera.
Ricordando che è stato lo stesso Mario Monti ad escludere una nuova manovra correttiva per il nostro paese, giorni addietro, con la motivazione che il governo italiano potrebbe chiedere alle autorità comunitarie di considerare la fase recessiva in cui ci troviamo, il nostro paese potrebbe agire da apripista per porre fine a questa follia pro-ciclica causata dal panico tedesco. Non si tratta di fare deficit spending, ma di rallentare il passo del consolidamento fiscale. Lo stesso FMI potrebbe essere d’accordo, avendo peraltro già più volte suggerito di alzare il piede dal pedale dell’austerità selvaggia. Ma se così non dovesse essere, nessun problema: ci godremo lo spettacolo (scusate per l’umorismo macabro) di un Portogallo che finirà esattamente come la Grecia, ma senza avere lo stigma di stato fiscalmente canaglia che ha Atene. E allora leggeremo dotti editoriali, cartacei e su pixel, che ci spiegheranno che in fondo non è vero che i portoghesi hanno applicato rigorosamente le ricette della Troika, e che c’è sotto qualcosa a motivare il nuovo buco. Solo che, a quel punto, non potremo dire che il Portogallo ha un salario minimo fuori dal mondo. O forse lo diremo, guardando però alla Macedonia.
Ah, e nel frattempo il governo spagnolo del silenzioso Mariano Rajoy, che è diventato l’idolo dei commentatori italiani, pare proprio non riesca a raggiungere quest’anno il target deficit-Pil del 4,4 per cento, abbia chiesto alla Ue di abbassare l’asticella a poco sopra il 5 per cento, e stia per essere accontentato (pare persino con imprimatur tedesco). Anche qui, stesso discorso: possiamo ridurre i firing costs, cioè i costi di rescissione di un rapporto di lavoro, fino a zero. Ma se il sistema creditizio è in condizioni pietose, la disoccupazione è altissima e c’è di fatto un enorme buco di domanda, tentare di raggiungere lo stesso il pareggio di bilancio a tappe forzate è qualcosa di davvero demenziale. Ma la domanda è d’obbligo: perché siamo dovuti giungere a questa miseranda condizione per prendere consapevolezza che servono correttivi per il ciclo al consolidamento fiscale? Davvero lo “stato dell’arte” delle nostre conoscenze economiche ha subìto una simile regressione al Medioevo? Mistero, davvero.
Attendiamo gli eventi, e soprattuto attendiamo di sentire rivolgere con sempre maggiore frequenza a Mario Draghi, ma anche a Van Rompuy, Barroso e Lagarde la fatidica domanda: “siete davvero certi che la gestione della crisi greca sia un evento unico ed irripetibile?”