Pubblicati oggi sul Corriere i risultati dell’elaborazione econometrica, curata da Oxford Economics, che valuta l’impatto sulle principali grandezze macroeconomiche dei programmi dei partiti o coalizioni che hanno risposto ad un questionario di venti domande elaborato dal giornale. Prima che si scatenino i soliti dibattiti fatti di nulla e di una robusta dose di ignoranza sul modello econometrico utilizzato e sulle ipotesi ad esso sottostanti, tentiamo qualche considerazione spicciola.
Intanto, due parole sul modello utilizzato, che si basa su date ipotesi di “funzionamento” dell’economia italiana. I modelli econometrici non sono Tavole della Legge, sono soggetti ad una evoluzione temporale in funzione di fatti ed eventi che modificano le relazioni tra variabili fondamentali ad esse sottostanti. E’ utile premettere questo caveat, scusandoci per la brutale semplificazione, ad evitare che qualcuno si appunti medaglie sul petto o denunci a colpi di slides l’immancabile complotto. Dalla premessa, consegue che vi saranno alcune ricette di policy che, in un dato momento, “assecondano” il modello più e meglio di altre, e di conseguenza tendono a produrre esiti più virtuosi. Tenetene conto, in vista delle conclusioni.
Vi è poi da considerare il “realismo” delle proposte di policy, e non si può escludere che tale realismo sia frutto non solo e non tanto di maggiore onestà intellettuale da parte dei proponenti, quanto anche della probabilità di concreta applicazione di tali scelte di politica economica. Altro limite dell’intero esercizio è dato dalla omessa quantificazione di alcune misure, cosa che accade soprattutto per il Pd, che pure dispone di un programma di politica economica più “realistico” di altri, a livello qualitativo, nelle linee-guida. Sappiamo infatti che il Pd mira a rimodulare la pressione fiscale su reddito e patrimonio, in modo da sfruttare l’ipotetico maggiore effetto moltiplicativo di tagli d’imposta su soggetti a minori disponibilità liquide (c.d cash constrained). Sempre che, s’intende, il maggior reddito disponibile venga effettivamente speso e non destinato ad esempio a riduzione di debito. E questo non lo sa nemmeno il Padreterno. Dal lato delle entrate, il Pd prevede tagli di spesa pubblica su trasferimenti e minori consumi pubblici, come del resto ci ripetiamo da molti lustri a questa parte, dopo aver scoperto l’aggregato contabile dei consumi intermedi della P.A. Presente anche l’immancabile lotta all’evasione fiscale.
Del programma del Pdl c’è poco da dire, visto che si tratta di un libro dei sogni centrato su eventi irrealizzabili o quasi. Il taglio dell’Irap e l’introduzione di un’Irpef a due aliquote (23 e 33 per cento) causerebbero una voragine nei conti pubblici che i nostri eroi pensano di colmare eliminando alcuni tax loopholes (non specificati). Quali, ad esempio? Una cosa tipo la deducibilità degli interessi passivi su mutui prima casa, che rappresenta una delle maggiori tax expenditures italiane? O magari la detrazione per carichi di famiglia? Auguri. Tra le voci in entrata c’è anche il fantasioso accordo fiscale con la Svizzera e, soprattutto, una “privatizzazione” monstre da 400 miliardi di euro di beni pubblici in una legislatura. Wow.
Utile specificare che circa i due terzi di tale importo deriverebbero dal conferimento degli attivi ad un fondo che avrebbe il compito di “valorizzarli”. Come fanno osservare gli analisti di Oxford Economics, se Eurostat dicesse di no alla rimozione dal perimetro pubblico di tale fondo, il giochino fallirebbe miseramente. Ma sognare è gratis, almeno fino a lunedì prossimo. Quello che conta è che tale “dismissione” abbatterebbe lo stock di debito riducendo la spesa per interessi e permettendo al paese di sollevarsi da terra tirandosi per le stringhe. Il che ci può stare perfettamente, se ancora molti italiani sono disposti a dare fiducia al personaggio che da vent’anni sta vendendo loro il Colosseo. Per accertarvi visivamente di quanto e come siamo vicini per l’ennesima volta al “nuovo, grande miracolo italiano”, date un occhio a pagina 21 del documento linkato. Capirete quanto in questo paese conti spararle sempre più grosse, confidando nel fatto di aver effettivamente di fronte dei “minorati” (cit.). Fuori classifica (in negativo) anche nel rapporto deficit-Pil che riesce a conseguire nella simulazione. Ma questa, in caso, è solo la prova che quelli di Oxford Economics sono comunisti.
Il programma di Scelta Civica per Monti è felpato e sobrio come il suo leader (quando non va in televisione a bere birra e presentare cani presi a noleggio), e punta diligentemente al taglio dei costi di procurement della P.A. ed alla lotta all’evasione fiscale, che tuttavia produce recuperi di gettito di modica quantità. Realismo, pensiamo. Il che non guasta mai. Risultati analoghi per Fare per fermare il declino, ma con un caveat importante: l’eccessivo affidamento del programma sulle dismissioni. Questo è un tasto su cui battiamo da tempo: in un periodo in cui l’intero pianeta è praticamente fermo sulle dismissioni ed il sistema creditizio (non solo quello domestico) è imballato, e lo sarà ancora a lungo, pensare di dismettere sul mercato è velleitario, per dire il meno. Il tutto ricordando come è finita con le cartolarizzazioni di immobili pubblici effettuate in tempo di pace, sapendo che l’alienazione di immobili degli enti locali è auspicabilmente subordinata alla loro preventiva valorizzazione, e di conseguenza ad interventi di non breve periodo di modifica dei piani di governo del territorio (auguri), e che la stessa fase di inventario degli attivi dismissibili appare molto laboriosa. Discorso analogo, in termini di realizzabilità, per fantasiose contabilizzazioni del premio di maggioranza da dismissione totale delle grandi imprese pubbliche quotate, almeno di quelle che non saranno travolte da scandali giudiziari.
Per il resto, non stupisce affatto (come detto sopra) che il programma di Fare riceva punteggi lusinghieri dal modello: tagliare spese e destinare il ricavato a tagli d’imposta funziona perfettamente in ogni universo conosciuto. Il problema resta il che fare quando i tagli di spesa devono essere immolati a coprire deficit e non a tagliare le imposte. Ma questo ve lo abbiamo già detto più e più volte, con scarso successo: inutile insistere. Ultimo commento sul programma di Fare, l’ulteriore revisione del sistema previdenziale. Immaginiamo si tratti di un contributo di solidarietà “strutturale” sulle pensioni più elevate calcolate con metodo retributivo. Ci può stare, non siamo pregiudizialmente contrari all’iniziativa, anzi. Per riassumere il giudizio, è utile ribadire il concetto: il programma di Fare sarebbe stato esemplare se fossimo stati nel 2008 o giù di lì. Se usciremo dalla crisi, tornerà ad esserlo.
La sintesi? Che quello promosso dal Corriere è un interessante esercizio di reality check, pur con tutti i limiti delle ipotesi di base, di costruzione del modello econometrico e quant’altro. Non servirà a spostare voti, vista la miserrima condizione dell’elettorato italiano, che è il vero responsabile ultimo della situazione del paese, con scelte elettorali improntate a persistente amnesia collettiva ed amnistia sull’operato degli eletti. L’accountability, questa sconosciuta. Quanto al resto, restiamo profondamente scettici: la legislatura che sta per iniziare potrebbe essere breve e segnata da violenti spasmi, dopo la campagna elettorale aberrata ed aberrante a cui abbiamo assistito. Senza dimenticare che sarà l’evoluzione europea a decidere se riusciremo ad uscire dal buco, con una convalescenza pluriennale, o se diverremo un cumulo di macerie fumanti, alla greca. Quella è l’unica variabile che conta, e nei modelli econometrici non c’è.