Oggi su Repubblica il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervistato da Massimo Giannini, manda dei messaggi di assoluta “ortodossia” europea, pur invocando a parole un cambio di rotta a favore della crescita. La sensazione è che sia in atto una “normalizzazione” del pensiero dell’esecutivo, o meglio un risveglio alla realtà. Dal quale però Renzi ha tutto da perdere.
Intanto, Padoan corregge di fatto il suo premier, che nei giorni scorsi aveva reiteratamente fatto sfoggio di robusta inconsapevolezza arringando le folle circa la “oggettiva” obsolescenza di quelli che continua impropriamente a definire “i limiti di Maastricht”, e che semplicemente non sono tali, come precisa lo stesso Padoan:
«Gli impegni vanno rispettati, tutti. Per noi stessi, non perché ce lo chiede l’Europa. Noi non siamo vincolati solo a Maastricht, ma anche al Fiscal compact. Dunque tutti gli scostamenti eventuali dal sentiero di risanamento strutturale programmato vanno approvati dal nostro Parlamento prima ancora che dalla Commissione europea»
Come i più attenti tra voi avranno notato, l’evoluzione del Renzi-pensiero è stata molto rapida, come tutto quello che lo riguarda e che da lui origina. Partito con un bel “se facciamo riforme importanti possiamo certamente sfondare il 3 per cento”, quando era fuori da Palazzo Chigi e cercava il modo per entrarvi, è poi passato al “siamo al 2,6, possiamo salire di qualche decimale senza sfondare il 3 per cento”, per poi virare, dopo l’incontro con la Merkel ma più verosimilmente per opera di richiamo alla realtà di Padoan al più netto “non sforeremo il 3 per cento”, anche perché Renzi stava mettendosi in bilancio (e spesando) quello che non è un dato ma una previsione, un auspicio, un desiderio per il fine anno. Discorso identico per il risparmio sulla spesa per interessi, che è solo un filo meno ectoplasmatica, come posta di bilancio, ma altrettanto poco utilizzabile ai fini dei conti pubblici.
Poi sono arrivate le puntualizzazioni sulle indiscrezioni alla spending review di Carlo Cottarelli, ed è sempre più forte la sensazione che questa miracolosa “fonte di tagli” alla cui narrativa ci abbeveriamo da mesi, sia destinata ad essere silenziata almeno sino a dopo le elezioni europee, mentre Renzi nel frattempo amplia il proprio campionario di frasi grillesche o antisistema, promettendo tagli “senza se e senza ma” agli stipendi dei dirigenti pubblici, dopo la vendita su eBay delle auto blu. Nel frattempo, in molti insistono a cercare il coniglio nel cilindro, e a battere il tasto degli investimenti pubblici, altro collaudato topos italiano.
Oggi il più radicale è Stefano Fassina, che su l’Unità propone, col compagno di partito Alfredo D’Attorre, nientemeno che di modificare il comma 2 dell’articolo 81 della Costituzione, quello che è stato riscritto due anni addietro per introdurre l’equilibrio di bilancio, in questo modo:
«Il ricorso all’indebitamento è consentito al fine di finanziare investimenti»
Che è posizione da piena campagna elettorale. Ma anche nel giro renziano il fascino della cosiddetta Golden Rule e dei miracolosi “investimenti” non sbiadisce, visto che alcuni giorni addietro il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Sandro Gozi, vagheggiava ancora l’ipotesi di escludere dal computo del deficit il cofinanziamento nazionale dei fondi europei. Ebbene, oggi Padoan rimette a nanna anche questa tesi:
Renzi rilancia l’ipotesi di un uso dei fondi cofinanziati dalla Ue al di fuori del calcolo del deficit…
«Stiamo verificando. Le anticipo fin da ora che le risorse residue su cui operare sono importanti, ma non di dimensioni gigantesche»
Più chiaro, così? Quindi, il copione è questo: Padoan è riuscito a riprendere il timone della situazione, dopo essere stato inizialmente posto di fronte a coperture finte, ed ora rassicura l’Europa sul rispetto dei vincoli (quelli veri); tenta di puntellare Cottarelli, col quale ci informa giocava a squash ai tempi della comune esperienza al FMI, spesso perdendo. Visto che le coperture non esistono (manco per gli 80 euro in busta paga) e mancando due mesi alle elezioni europee, Renzi tiene a bada le folle e le incita contro chi “sinora non ha mai pagato”, e lui speriamo che se la cavi (anzi, cava). Nel frattempo si lavora al DEF, e spifferi di corridoio rilanciati giorni addietro dall’Ansa già mostrano uno stile inconfondibile:
«(…) almeno la metà della cifra necessaria potrebbe ‘liberarsi’ in modo quasi ‘automatico’. E senza ‘danni’ a livello europeo. Se infatti, come calcolano anche all’interno del governo, le misure annunciate da Renzi fossero attuate si stima un ‘beneficio’ in termini di maggior crescita di 0,5 punti di Pil. Che aggiunti agli 0,6 già stimati dall’esecutivo porterebbero la crescita quest’anno all’1,1%. L’effetto positivo si trasmetterebbe al rapporto deficit-Pil che calerebbe a sua volta di 0,2 punti (al 2,4% rispetto al 2,6% già stimato). Si libererebbero così 0,2 punti di deficit (cioè 3,2 miliardi) senza neanche toccare le stime e rimanendo decisamente lontani dal limite del 3% ed evitando così sia di dover contrattare con la Commissione Ue, che tra l’altro si è già mostrata decisamente ‘fredda’ all’ipotesi (Ansa, 23 marzo 2014)»
Tutto chiaro? Con la sola imposizione delle mani torna la leggendaria crescita dell’1,1% di Pil che Letta e Saccomanni si erano già spesa, salvo poi definirla “obiettivo, non stima”. Non c’è niente da fare, gli italiani continuano ad essere divorziati dalla realtà e a non volerle pagare gli alimenti. A proposito, e i famosi “capitali dalla Svizzera”?
Per ora, nessun attrito tra Padoan e Renzi. Anzi:
«Qualcuno ci descrive così: lui è Mandrake, io sarei Lothar. Mi sembra una rappresentazione efficace…»
Il problema è che la prima versione di Mandrake era perfetta per l’Italia, visto che il mago riusciva persino a resuscitare i morti. Ma ad un certo punto il suo creatore lo sottopose ad un crudele downgrade, facendolo diventare un semplice prestigiatore ed illusionista. E a ben vedere, anche qui, diremmo che ci siamo.