Oggi su La Stampa, il commento definitivo alla nuova tassazione delle “rendite” finanziarie è di Alessandro Barbera, noi abbiamo messo link alle fonti:
«Che cosa significa tutto questo per il portafoglio medio di un italiano? Secondo alcune simulazioni pubblicate dal Sole 24 Ore su un valore investito di circa 50 mila euro e che garantisce 1.500 euro di rendimento, fra Tobin tax, bolli, imposte sostitutive e ritenute d’acconto l’importo dovrebbe salire dai 450 ai 540 euro medi, circa novanta euro in più di quanto non si pagava fino ad un anno fa. Poco? Troppo? Valga qui l’esempio della Gran Bretagna, che nel 2010 ha alzato l’aliquota sui guadagni di Borsa dal 18 al 28 per cento, ma è rimasta al 18 per cento per chi dichiara un reddito inferiore alle 35 mila sterline annue. In Germania l’aliquota media è del 25 per cento, in Francia è ancora più alta, e supera spesso il 35 [in Francia la tassazione è in dichiarazione dei redditi, quindi ad aliquota marginale, ndPh.]. In Spagna l’aumento risale al 2012, e prevede aliquote fra il 21 e il 27 per cento, anche se sui primi seimila euro di reddito resta l’aliquota del 19. In Italia, Paese di santi, navigatori ed evasori, un sistema siffatto viene scartato a priori. II risultato è la stangata a danno dei soliti noti»
Non stupisce, in un paese ricchissimo di politici finanziariamente analfabeti ed in malafede, che il concetto di progressività fiscale sia assente dai fatti, o meglio sia sostituito da un demenziale concetto di “progressività qualitativa“, dove si tassa (in modo discriminatorio e distorsivo) la tipologia di strumento e non lo stock di ricchezza in esso investito.