Una Repubblica democratica fondata sulle tax expenditures

Un numeretto che la dice molto lunga sulle perduranti tendenze distorsive della finanza pubblica di un paese che si ostina a moltiplicare eccezioni alle regole, ormai prigioniero della propria schizofrenia.

Nel corso dell’audizione in Commissione Finanze al Senato, il direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, ha comunicato che nel 2014 sono state introdotte ulteriori agevolazioni fiscali, sotto forma di detrazioni e deduzioni, per un importo di circa 220 milioni di euro (di mancate entrate per l’erario, ovviamente).

Il monitoraggio delle cosiddette tax espenditures conta in totale 285 misure di agevolazione per un importo complessivo di circa 152 miliardi di euro (sempre di mancato gettito). Si noti che in questo paese è da circa un ventennio (dall’unica meritoria intrapresa di Giulio Tremonti, il Libro Bianco del 1994) che si parla di ridurre il numero delle tax expenditures, che sono un esempio di pessima politica fiscale ed esasperazione del particolarismo lobbistico (che non è necessariamente fatto da loschi figuri con gessato, valigetta e Ray-Ban che bivaccano nelle anticamere dei Palazzi romani, ficcatevelo bene in testa). Superfluo dire che i nostri politici, di ogni colore, amano molto le tax expenditures, soprattutto nei frequenti momenti in cui riescono a dare sfoggio alla loro crassa ignoranza in materia.

La pletora di detrazioni d’imposta e deduzioni dal reddito, di cui gli italiani sono da sempre ghiotti (essendo uno dei paesi più distorsivi e distorti del pianeta) finisce con l’erodere pesantemente le basi imponibili dei tributi interessati da queste “eccezioni” col risultato che, per ottenere lo stesso gettito, le aliquote nominali devono restare elevate (e spesso crescenti), con ovvi effetti distorsivi sull’offerta. L’idea originaria, quindi, era quella di rimuovere o sfoltire significativamente tali “agevolazioni” ed in parallelo abbassare le aliquote nominali, per mantenere il gettito inalterato ma migliorare gli incentivi dal lato dell’offerta, oltre a ridurre la complessità della normativa fiscale.

Poi purtroppo è venuta la Grande Recessione, ed i nostri eroi hanno tentato di tagliare le tax expenditures ma con la finalità di fare gettito, quindi mantenendo invariate le aliquote nominali, con ovvio (ma non per tutti) effetto restrittivo. Incidentalmente, alcuni noti genietti sono persino riusciti a fare casino sul concetto, spacciando per “riforma lungamente attesa ed indifferibile” quella che era nel frattempo mutata in ennesima stretta fiscale. Ancora oggi, gran parte delle cosiddette “clausole di salvaguardia”, che sono i famosi piloti automatici con cui i governi italiani rassicurano mercati e Commissione Ue dopo aver promesso ai sudditi pentole d’oro in fondo all’arcobaleno, restano la spada di Damocle sulla testa dei contribuenti italiani.

Ma che accade, quando si cerca di mettere mano a queste tax expenditures? Che si levano alti lai dagli interessati e dai loro “rappresentanti”, sul ruolo fondamentale che queste agevolazioni ricoprono nell’economia dell’intero paese, e l’esecutivo di turno ripiega sul lato piano B, di solito alzando le accise o aumentando gli acconti Ires ed Irap, e vissero tutti felici e contenti. La discrasia tra chiacchiericcio politico-mediatico e realtà continua, e si accentua.

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