“That’s (not) all, Folks”

Alla fine, Mario Draghi ha gettato sul piatto tutto quello che era realisticamente possibile gettare, qui ed ora. Aggiungendovi pure una delle sue frasi destinate a restare nella storia europea, dei mercati finanziari e non solo (“Abbiamo finito? La risposta è no”). Basterà?

Intanto, la dimensione politica della decisione, quella “unanimità” del governing council che non poteva non accadere, visto che banche ed assicurazioni tedesche stanno già levando alti lai sulla “spoliazione” dei risparmiatori, colpiti da rendimenti sempre più negativi, ed un voto contrario alle misure da parte dei due tedeschi del board sarebbe equivalso alla sconfessione delle misure della Bce ancor prima della loro nascita. Poi, è stato adottato il tasso negativo sui depositi delle banche presso la Bce. Si tratta di una misura suggestiva ma controversa in termini di esiti, e che peraltro si abbatte su uno stock di fondi che ora è di soli 30 miliardi di euro.

Poi c’è il TLTRO, Targeted Long Term Refinancing Operation, un pacchetto di 400 miliardi di crediti a tasso agevolato alle banche, di durata quadriennale e tasso fisso (pari al tasso chiave Bce più uno spread dello 0,1%), che le banche dovranno utilizzare per concedere credito al settore privato non finanziario dell’economia, sotto pena di restituzione entro due anni in caso contrario. Questa misura è apparentemente simile al Funding for Lending Scheme della Bank of England. Che tuttavia, secondo gli ultimi dati disponibili, non ha avuto particolare successo. Quando il sistema bancario sta riducendo le dimensioni del proprio stato patrimoniale andare controcorrente è sempre difficile, pur se non impossibile. Misura analoga quella che prevede che le banche, da marzo 2015 a giugno 2016, potranno prendere a prestito dalla Bce sino a tre volte il credito netto erogato ad imprese dell’area euro. Tutte queste sono erogazioni non assistite da garanzia. Vi sarà poi l’estensione, sino a fine 2016, dei prestiti Bce alle banche assistiti da garanzia, che continueranno ad avvenire a piè di lista.

Altra misura non prevista è la fine della sterilizzazione della liquidità originata dal Securities Markets Program, quello che nel 2011 servì, tra le altre cose, a comprare oltre 100 miliardi di titoli di stato italiani, nel tentativo di tamponare la fuga degli investitori dalla periferia dell’Eurozona. Servì a nulla, perché la Bce agiva con entrambe le mani legate dietro la schiena, a causa del freno imposto dai tedeschi. Oggi quella liquidità tornerà nelle tesorerie delle banche, mentre sino a ieri veniva drenata con operazioni settimanali. E’ evidente che questa operazione è complementare al tasso negativo su depositi che, come detto sopra, sono ormai scesi a livelli molto bassi. A proposito: quand’è che qualcuno, in Germania, alzerà il ditino per sostenere che la fine della sterilizzazione del SMP equivale a finanziamento monetario del deficit, e quindi è in violazione del leggendario articolo 123 del TFEU?

Draghi ha poi confermato che continueranno i lavori preparatori per riavviare il mercato delle cartolarizzazioni su prestiti delle imprese europee, iniziati da qualche mese anche in collaborazione con la Bank of England. Qui persistono problemi regolatori, come ha detto lo stesso presidente della Bce, nel senso che per alcuni investitori (soprattutto le assicurazioni) acquisti di questi attivi restano penalizzanti in termini di assorbimento di capitale. Non sarà semplice né immediato, giungere a risultati in quest’ambito.

Che dire, quindi? Che si sta immettendo altra liquidità nel sistema, sperando che serva, mantenendo al contempo le aspettative del mercato e degli agenti economici su “altro” che potrà essere aggiunto, in caso di necessità. Ma l’obiettivo di deprezzare l’euro per combattere la minaccia di deflazione resta problematico. La moneta unica è l’espressione di una regione economica che ha un ampio surplus delle partite correnti: già questo depone per un suo apprezzamento, non per il contrario. Inoltre, l’euro potrebbe cadere vittima del suo stesso “successo”, attirando (come già accaduto ed accade) capitali da fuori verso la propria periferia, allettati dagli elevati rendimenti italiani e spagnoli, oltre che dall’azionario, soprattutto dalle banche.

Il problema di fondo è che, nella perdurante assenza di domanda aggregata, la politica monetaria da sola non può fare moltissimo. Detto in altri termini: la domanda di credito manca perché il credito costa troppo (in media) o perché le aziende non hanno rilevanti esigenze di finanziamento di circolante ed investimenti? Entrambe le cose, in realtà. Parliamo di medie, badate, ma il discorso sta comunque in piedi. Inutile fornire credito ad aziende che sono già trapassate e magari restano in vita (a botte di cassa integrazione in deroga, ad esempio) solo grazie al fatto che hanno organici numerosi e quindi rappresentano soprattutto un problema politico. Per queste problematiche neppure Mario Draghi può fare miracoli. Fermo restando che, negli ultimi tre anni, di miracoli Draghi ne ha già fatti molti, soprattutto esercitando un ruolo di supplenza di una governance europea profondamente disfunzionale.

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