Oggi sul Corriere, Antonella Baccaro intervista Roberto Perotti, economista bocconiano che affiancherà Yoram Gutgeld nella sempiterna “ricognizione” della spesa pubblica, per individuare aree di contenimento e razionalizzazione che possano evitarci di dover alzare, dal primo gennaio 2016, le imposte indirette per 12,4 miliardi di euro. Diciamo subito che le risposte di Perotti lasciano lievemente perplessi, e soprattutto danno quella spiacevole sensazione di eterno ritorno che da ormai molti anni caratterizza l’argomento.
Intanto, sui costi della politica, Perotti ammette (non potrebbe essere altrimenti) che attendersi un miliardo di risparmi sarà molto difficile. Sulle province, invece, “la strada è ancora lunga: è una riforma complicata”. Lo avevamo intuito da quanto accaduto nell’ultimo anno, diciamo. E comunque, Perotti precisa che le risorse “non si trovano dai costi della politica”, anche se trattasi di tema di “altissimo valore simbolico”. Qui siamo d’accordo, e lo siamo praticamente da sempre. Ricordiamo tuttavia, per amor di completezza, che Perotti aveva elaborato uno schema onnicomprensivo di risparmi sui costi della politica che raggiungeva l’importo di un miliardo di euro. Ovviamente sotto scenari di intervento e riforme istituzionali che sono differenti dal quadro reale che abbiamo oggi di fronte.
Proseguendo nell’intervista, Perotti ritiene possibile conseguire risparmi per un paio di miliardi dalla voce “sussidi alle imprese”, riprendendo lo studio di Francesco Giavazzi e limitando l’intervento ai sussidi veri e propri e non ai crediti d’imposta. Utile ricordare, come fa Perotti, che magna pars di questa cifra beneficia le Ferrovie. L’eventuale intervento sui crediti d’imposta si tradurrebbe in risparmi per cassa solo dal 2017, anno successivo alla legge di Stabilità 2016. Certo, proprio come il taglio Irap sull’occupazione a tempo indeterminato, scattato da quest’anno. Diciamo comunque che, su un orizzonte di un paio d’anni, Perotti intenderebbe mettere mano alla massa di crediti di imposta alle imprese.
Nel menù è prevista l’immancabile riduzione delle centrali d’acquisto e l’evergreen della “razionalizzazione” delle tax expenditures. Come sappiamo (o dovremmo sapere), sopprimere le tax expenditures aumenta il gettito d’imposta, in prima approssimazione, quindi alza la pressione fiscale. Per questo motivo, oltre che per ridurre le distorsioni dal lato dell’offerta introdotte dal florilegio di crediti d’imposta, serve contestualmente ridurre le aliquote nominali, in modo da restituire ai contribuenti il maggior gettito. Altrimenti abbiamo un problema, nel senso che aumenta la tassazione. Tuttavia, si fa presto a dire “tax expenditures”, visto che tra esse esistono cosine tipo le spese sanitarie, gli interessi passivi sui mutui prima casa, le detrazioni per lavoro dipendente e carichi di famiglia. Ecco quindi lo scambio tra Baccaro e Perotti:
Le taglierete?
«Sì, quelle che si configurano come piccoli piaceri elargiti nel tempo a questo o quel settore»Metterete mano anche alle detrazioni/deduzioni Irpef?
«Eventualmente per razionalizzarle. Ma è un capitolo complicato, richiede tempo»
Decodifica: prima risposta ineccepibile ma implica un gettito pressoché risibile. Seconda risposta: boh, questo è dominio della politica. Anche questa non fa un grinza, ma neppure gettito. Andiamo avanti. Su trasporti ed infrastrutture “tranquilli, non tagliamo le linee”, ma ci concentreremo sul trasporto pubblico locale. Che vuol dire tutto e nulla, incluso un forte aumento di compartecipazione dell’utenza ai costi di esercizio. Andrebbe anche bene, se vi fossero almeno sistemi di messa a gara delle tratte. Ma nessuno si illuda: i prezzi dei biglietti inizialmente saliranno, come vi diciamo da sempre. E questo si configurerà contabilmente come aumento dei consumi ma in realtà sarà riduzione di reddito disponibile, ceteris paribus.
Sulla Sanità, Perotti punta (ovviamente) sui costi standard ma noi restiamo dell’idea che alla fine anche qui aumenteranno le compartecipazioni alla spesa. Di pensioni e ricalcoli non si parla “per decisione politica”. Ultimo scambio, meraviglioso:
I tagli che derivano dalla delega P.A. saranno nell’ordine di 4 miliardi?
«Be’ a regime, forse»
Sintesi estrema: non sappiamo dove diavolo intervenire. Forse perché è rimasto poco su cui intervenire, ragionevolmente. Oppure, detto altrimenti, perché da questo punto in avanti serve ridefinire il perimetro di intervento dello stato, come suggeriva la Corte dei conti. Come che sia, sarà durissima reperire questi dieci miliardi o giù di lì, in assenza di una crescita ben più vigorosa di quella attuale. E ricordate che, come detto più volte, nel 2015 Matteo Renzi ha deciso di andare all in: o si cresce, e di conseguenza si crea gettito, o dal 2016 avremo serissimi problemi di finanza pubblica. Comunque sia, auguri a Roberto Perotti. E a tutti noi.
A proposito di spesa pubblica: non per essere pedanti ma vorremmo tornare brevemente sugli 80 euro del bonus Renzi e sulle polemiche che ne sono seguite, riguardo alla sua classificazione contabile. Come ricorderete, governo e maggioranza insistono nella tesi che il bonus è da considerare a tutti gli effetti come una riduzione di imposte. Motivo per cui, se riclassificato in questi termini, ridurrebbe la pressione fiscale 2014 di 3-4 decimi di punto percentuale. Quindi, “abbiamo tagliato le tasse!”. Benissimo, prendiamo atto. Peccato però che, contabilmente, quel bonus è appostato in “prestazioni sociali in denaro”, di cui ha fatto lievitare la consistenza nel 2014 e ancora di più lo farà nel 2015.
Ora, a casa nostra, “prestazioni sociali in denaro” è spesa pubblica a tutti gli effetti, e come tale va considerata. Dire che, nell’effetto economico, quei 10 miliardi annui sono riduzione di imposte, non vuol dire che la loro contabilizzazione effettiva, dal lato delle spese, scompaia. Sarebbe come dire “alziamo la spesa pubblica per 100, e quei 100 li distribuiamo come mancia bonus sui redditi”. Avremmo inventato il moto perpetuo dei magliari. Ecco, forse qualcuno dovrebbe riflettere su questo punto, anziché reiterare il mantra della riduzione delle tasse. Perché questo giochetto si chiama “spendi e (de)tassa”. O anche “tassa (il risparmio) e spendi in mance elettorali che non hanno alcuna efficienza sulla crescita”. Ma che ve lo dico a fare?