Pubblicati oggi da Istat i dati di vendite al dettaglio ed ordinativi e fatturato industriali italiani del mese di settembre, che quindi chiudono il terzo trimestre. Sono dati complessivamente deboli, motivo per il quale oggi non sentirete l’abituale crepitìo festoso dei lanci d’agenzia provenienti da zelanti piddini. Capita.
Le vendite al dettaglio di settembre evidenziano una flessione dello 0,1% mensile ed un aumento dell’1,5% su settembre 2014. Depurando tale dato dagli effetti dell’inflazione abbiamo un calo mensile dello 0,2% ed un aumento annuale dello 0,8%. Un boom molto ben camuffato, si direbbe.
A settembre il fatturato dell’industria, al netto della stagionalità, registra una leggera flessione (-0,1%) rispetto ad agosto, sintesi di una variazione positiva (+0,6%) sul mercato interno e di una negativa su quello estero (-1,6%). Nella media degli ultimi tre mesi, l’indice complessivo diminuisce dell’1,6% rispetto ai tre mesi precedenti (-1,9% per il fatturato interno e -1,0% per quello estero). Ancora una volta, si conferma il ruolo decisivo e pressoché esclusivo del settore auto nella “ripresa” italiana, visto che l’incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+18,4%).
A conferma dell’ipotesi che qualcosa si è inceppato, nella congiuntura globale, per gli ordinativi totali si registra una diminuzione congiunturale del 2%, con flessioni dell’1% degli ordinativi interni e del 3,2% di quelli esteri. Nel confronto con il mese di settembre 2014, l’indice grezzo degli ordinativi segna un calo dello 0,8%. Anche qui l’incremento più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+26,4%). Sinché dura, non facciamoci troppe domande. E comunque, come disse qualcuno, l’Italia è isolata dalla congiuntura globale per i prossimi due anni grazie alle “riforme”.
Intanto, da rubricare alla voce “spending di più“, è di oggi la notizia, proveniente da un dossier dei tecnici di Camera e Senato sulla legge di Stabilità, che da ottobre 2014 a settembre 2015 sono state introdotte 11 nuove agevolazioni fiscali che valgono 634 milioni per il 2016, 1,3 miliardi per il 2017 e 1,2 miliardi per il 2018. Avremo quindi altri argomenti per dotti dibattiti televisivi e di carta stampata sulla razionalizzazione delle tax expenditures, che sono le famose “caramelle fiscali” che scavano in profondità nel bilancio pubblico di questo paese, e che sono le sabbie mobili su cui poggia la nostra repubblica democratica.
Ma il mastro caramellaio è saldamente assiso a Palazzo Chigi, e prosegue indefesso nella sua strategia di mance e mancette per tutti o quasi, nella sua lotta di liberazione dagli “ottusi burocrati di Bruxelles”, a spese nostre e delle nostre future tasse, beninteso. Tra bonus 80 euro, bonus pannolini, bonus culturale docenti, e bonus per i diciottenni, fatichiamo a tenere il passo. E pare che fatichi anche il “contafagioli” (per dirlo con gli americani, che con tale termine designano i contabili), al secolo Pier Carlo Padoan. Che oggi, davanti al comitato Schengen a San Macuto, ha chiarito che l’eventuale margine di flessibilità aggiuntivo dello 0,2% del Pil chiesto alla Commissione europea sarebbe impegnato “non tanto per anticipare l’abbattimento dell’Ires al 2016 quanto per indirizzare le risorse alla voce sicurezza”.
Affermazione che, se da un lato indica che Padoan sta divenendo preoccupato per la crescente propensione di Renzi a fare spesa pubblica, come i suoi avi democristiani, dall’altro mostra che il ministro è costretto ad inseguire in affanno, visto che sono passate pochissime settimane da quando il Tesoro, con grande meticolosità, aveva quantificato le spese per immigrazione esattamente nel quantum di flessibilità richiesto alla Ue, mettendo poi la sordina all’indecente suggestione di usare un deficit temporaneo per coprire sgravi permanenti quali l’alleggerimento Ires per il 2016.
Ormai, con un premier che chiede deficit “agli ottusi burocrati europei” anche per compensare gli effetti negativi delle macchie solari, c’è di che essere molto preoccupati. Possiamo solo sperare che si vada al voto il prima possibile, in modo da toglierci il dente del ciclo elettorale di spesa pubblica. Perché di questo passo piangeremo calde lacrime per la condotta dell’erede ogm di Achille Lauro.