Alla Camera è giunto in discussione uno stagionato ddl di iniziativa popolare presentato dai movimenti per l’acqua pubblica nel lontano 2007, e “rivitalizzato” in questa legislatura da un intergruppo parlamentare in cui figurano deputati di Pd, Sel e M5S, che ha prodotto una proposta di legge, a prima firmataria la deputata del M5S Federica Daga, che qualifica l’acqua come “diritto umano”, centrata sulla erogazione giornaliera di 50 litri pro capite finanziata a mezzo di fiscalità generale e prevede che proprietà e gestione delle risorse idriche siano pubbliche. E sin qui, tutto bene, all’incirca. I problemi sorgono quando si arriva alle coperture finanziarie del grande progetto. Avevate dubbi che la criticità sarebbe stata questa? Noi no, per nulla.
Il punto centrale della pdl a prima firma Daga è l’articolo 6, che prescrive l’affidamento del servizio idrico solo a enti di diritto pubblico pienamente controllati dallo Stato (quindi niente Spa pubblico-privato), dando agli enti un anno di tempo per adeguarsi, cioè cacciare i privati e cambiare veste giuridica alla gestione. Incidentalmente, un paio di emendamenti di deputati Pd vanno in direzione di espungere dalla proposta proprio l’articolo 6.
Come ricorderete, il referendum del 2011 ha determinato l’abrogazione del decreto Ronchi, che obbligava gli enti locali a mettere a gara anche la distribuzione dell’acqua nelle case. Non solo: quel referendum puntava soprattutto a cancellare il concetto di “adeguata remunerazione del capitale investito dai gestori”. Su questo punto si scatenò una commedia degli equivoci, per opera dei proponenti del referendum, che fecero leva sul concetto di “profittabilità” del servizio idrico e sulla sua demonizzazione.
Il vero feticcio antikapitalista, in quella circostanza, fu quel 7% di “remunerazione del capitale investito”: un numero che approssimava il costo del capitale (equity e debito) per le utility e non era certo una “rendita parassitaria”. Inutili furono gli inviti alla ragionevolezza ed alla razionalità: ormai la gioiosa macchina da guerra del Bene Comune era stata lanciata contro lo sporco kapitalismo che affama ed asseta i popoli. Ovvio che la vittoria del si al referendum non avrebbe spostato di una virgola la realtà ma in molti non vollero comprendere, e cinque anni dopo fremono ancora di sdegno per lo “scippo della democrazia”. Ah, l’esito del referendum era stato ampiamente previsto su un piccolo ed oscuro blog dal nome buffo.
Il punto è che ai cittadini venne fatto credere che la vittoria dei si al referendum si sarebbe tradotta in un calo delle tariffe di erogazione dell’acqua, semplicemente togliendo ai perfidi privati la loro “rendita parassitaria”. Sbagliato, completamente. La rete idrica italiana è mediamente un colabrodo ed è stata ridotta in queste condizioni dalla storica incuria e sottoinvestimento del settore pubblico. Il fatto che ad esso si siano affiancati i privati, con tutto quello che ciò implica in un paese di predatori come il nostro, non sposta i termini della questione: per gestire la risorsa acqua servono soldi, tantissimi. Anche internalizzando nuovamente presso il pubblico la gestione del servizio idrico, e vietando che il medesimo operi in regime “privatistico”, cioè a mezzo di società per azioni, l’enorme fabbisogno finanziario legato all’acqua resterebbe in essere. E qui veniamo alle coperture finanziarie previste dalla proposta di legge Daga et al.
Coperture che sono contenute nell’articolo 12. Prima di esaminare il quale, ci corre obbligo di segnalarvi che l’articolo 9 definisce il perimetro dei costi che vanno coperti a mezzo di “tariffa”. Perché la medesima è -ovviamente- ineliminabile. In capo alla fiscalità generale andrebbe invece il finanziamento degli investimenti ed il costo di erogazione del quantitativo minimo vitale di 50 litri pro capite giornalieri. Bene, direte voi: e i soldi per gli investimenti, ora che la remunerazione del capitale investito è stata giustiziata? A questa domanda risponde il comma 3 dell’articolo 8, e la risposta non è una sorpresa:
«Al fine di accelerare gli investimenti nel servizio idrico integrato, con particolare riferimento alla ristrutturazione della rete idrica, con apposito decreto del Ministro dell’ambiente della tutela del territorio e del mare, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituito un apposito fondo, finanziato tramite l’anticipazione della Cassa depositi e prestiti Spa»
Eccoci, la mitica Cassa Depositi e Prestiti corre in soccorso del Bene Comune! Naturalmente, il fatto che CDP operi secondo vincoli di economicità e di bilancio (inclusa la remunerazione degli investimenti), che sono semplicemente sottospecie del vincolo di realtà, non rileva. E comunque si tratterebbe solo di “anticipazioni”. Alla fine, quei soldi sarebbero restituiti alla CDP attraverso maggiori tasse, cioè con il ricorso alla mitologica “fiscalità generale”. E ricordate: la tariffa resta in essere. Leggete i commi dell’articolo 9 della proposta di legge Daga per avere la misura degli ambiti di copertura ad essa richiesti ed una ipotetica percezione di quanto costerebbe.
Un attimo!, diranno i più benecomunisti tra voi. Il ricorso alla fiscalità generale non equivale automaticamente a “maggiori tasse”. Le coperture sono indicate all’articolo 12, come si diceva. Eccole:
All’onere derivante dall’attuazione della presente legge per quanto attiene al ricorso alla fiscalità generale, di cui all’articolo 8, commi 2 e 3, si provvede attraverso:
a) la destinazione, in sede di approvazione del seguito di legge di stabilità, di una quota annuale di risorse pari a 1 miliardo di euro proveniente da una corrispondente riduzione delle spese militari, a partire da quelle stanziate per l’acquisto degli aerei cacciabombardieri F35;
b) la destinazione di una quota parte, pari a 2 miliardi di euro annui, delle risorse derivanti dalla lotta all’evasione e all’elusione fiscali;
c) la destinazione delle risorse provenienti da una tassa di scopo pari a 1 centesimo di euro per ogni bottiglia in PoliEtilenTereftalato (PET) commercializzata;
d) la destinazione dei fondi derivanti dalle sanzioni irrogate per violazione delle disposizioni vigenti in materia di tutela del patrimonio idrico;
e) l’allocazione di una quota annuale delle risorse derivanti dall’introduzione di una tassa di scopo relativa al prelievo fiscale sulla produzione e sull’uso di sostanze chimiche inquinanti per l’ambiente idrico;
Tutto quadra, no? Con gli F35 e la lotta all’evasione fiscale finanzieremo l’imponente piano di contrasto alla dispersione idrica e gli investimenti di mantenimento ed ammodernamento della rete. Averlo saputo prima. Il Servizio Studi della Camera ha espresso un’eufemistica perplessità, davanti a queste robuste coperture, ma sono dettagli.
Alla fine, contano slogan, buoni sentimenti ed il messaggio manco troppo subliminale che con l’acqua a proprietà e gestione pubblica le tariffe non cresceranno. Le coperture non sono realmente un problema, nel magico mondo pentastellato: vedi anche quelle sul reddito di cittadinanza, che sono un filo meno assurde ma sempre saldamente piantate nel mondo dei sogni. Alla fine, questa è la cifra della “proposta” pentastellata ai cittadini. Siamo certi che, date queste premesse, i nostri eroi pregheranno ogni giorno per non giungere al governo del paese. Perché in quel caso verrebbero spappolati dalla realtà nel giro di poche ore.
Aggiornamento – È andata come previsto: il Pd ottiene lo stralcio dell’articolo 6 della pdl. Per caramella ideologica, viene disposto l’affidamento del servizio idrico “in via prioritaria” a favore di società interamente pubbliche. Frase che non significa alcunché, visto che attualmente è già previsto l’affidamento in house al ricorrere di date condizioni, previste dall’ordinamento europeo. Fumisteria che non andrà da nessuna parte se non in qualche stucchevole convegno. Il M5S ed i benecomunisti ottengono la loro medaglietta al valore di difensori della democrazia stuprata dal kapitalismo, e andiamo avanti. Verso la prossima spesa a cui destinare i risparmi degli F35.