Ricevo e volentieri pubblico:
Egregio Titolare, il Processo Civile Telematico (PCT) è certamente una idea ottima, anzi indispensabile: un processo fatto di carta e di udienze rese cartacee dal verbale che se ne redige, aspettava soltanto di entrare nell’era informatica. E lo si è fatto: secondo il Ministro Orlando con una “considerevole riduzione dei tempi di trattazione delle cause”.
Con alcuni “però”.
Chiunque abbia adottato un sistema informatico nel proprio ufficio-azienda-condominio-domicilio ha sperimentato, innanzitutto, l’esigenza di dover allestire per la prima volta, oppure rivedere, dei procedimenti organizzativi: perché gli viene imposto dalle funzionalità del sistema informatico, che necessita di “dati”, entità più precisa delle parole.
Nel processo civile questo non si è potuto fare, perché il procedimento è fissato nella pietra della legge, e finora lo si è modificato soltanto per inventare interventi “deflattivi” del contenzioso, non per rimodellarlo a misura di informatica.
Esempio: al tempo della carta e della penna le parti litiganti, alla fine di un giudizio, depositati i documenti, ascoltati i testi, dovevano “precisare le conclusioni”, ossia formalizzare le proprie domande processuali in un apposito documento depositato e scambiatosi in una apposita udienza, avanti al Giudice. Cosa vi sarebbe stato di più facile, quindi, da riassumere in un deposito telematico delle conclusioni, che poi il Giudice si sarebbe letto tranquillamente sullo schermo del proprio ufficio, senza essere pressato dalla folla?
Nossignori: le conclusioni vengono scambiate sì per via telematica, ma non è stata affatto soppressa l’inutile udienza di precisazione delle conclusioni, alla quale i difensori devono presenziare, quindi dichiarare a verbale che “concludono” come hanno già fatto per via telematica; e di questa pantomima si redige anche un fedele verbale. Inutile dire che la giurisprudenza già si è divisa sull’efficacia delle conclusioni “telematiche” piuttosto che di quelle dettate in udienza.
Un analogo sentimento di inutilità accompagna anche le altre udienze del processo civile, che è da moltissimo tempo un processo scritto: atto introduttivo/comparsa di risposta; tre memorie per replica, deduzioni istruttorie e controdeduzioni istruttorie; memorie conclusionali e repliche. L’udienza civile come luogo di formazione del contraddittorio e mezzo di persuasione del Giudice è morta da un pezzo, ben prima del PCT: non foss’altro per l’affollamento dell’ufficio del Giudice, che non ha modo di ascoltare con la dovuta attenzione le argomentazioni degli avvocati.
Una morte onorevole avrebbe potuto essere proprio il PCT, trasformando un rito ormai vuoto in una chat processuale dove le parti comunicano senza spostarsi. Invece, Giudici ed Avvocati continuano ad incontrarsi (in Corte d’Appello anche indossando le toghe), come se nulla fosse cambiato.
Va anche detto che non tutti i Giudici dispongono di un pc; ergo, chiedono agli avvocati la copia cartacea “di cortesia” di tutti gli atti notificati e depositati telematicamente: copia peraltro già in possesso dei cancellieri, che potrebbero stamparla dal proprio pc. A questo modo, processo telematico e processo cartaceo viaggiano gloriosamente uniti.
Avv. Massimo Burghignoli
Milano