L’idea francese di una patrimoniale sui terreni edificati

L’ipotesi di interventi di finanza pubblica straordinaria per abbattere lo stock di debito non è certo esclusiva italiana, anche se negli scorsi anni da noi ci sono state numerose elaborazioni, tutte riconducibili alla nota categoria dell'”ingegneria finanziaria per disperati”. È di questi giorni l’elaborazione partorita da France Stratégie, think tank pubblico transalpino che riporta direttamente al primo ministro. L’ultima fatica del pensatoio gallico è un autentico vaste programme: come abbattere l’elevato debito pubblico senza attendere che la crescita faccia il suo corso.

L’abbattimento del debito è considerato nel rapporto, a torto o a ragione, funzionale ad un’accelerazione dell’integrazione europea, per giungere ad una vera condivisione del rischio con conseguente mutualizzazione. In astratto ciò sarebbe anche possibile, ma la sensazione è che neppure in quel caso i tedeschi accetterebbero, a meno di poter prendere direttamente il controllo delle politiche economiche degli stati. Ma è storia lunga, e su cui torneremo.

France Statégie ha identificato un intervento patrimoniale di tipo immobiliare, partendo dalla premessa del forte incremento di valore dei patrimoni delle famiglie. Da metà degli anni Novanta ad oggi, mentre il rapporto debito-Pil francese passava dal 56% a circa il 100%, il patrimonio delle famiglie schizzava dal 285% al 485% di Pil, di cui 255% di natura immobiliare. Il patrimonio immobiliare è distinto tra valore delle costruzioni e valore dei terreni edificati; nelle stime di France Stratégie il valore di questi ultimi rappresenta circa il 135% del prodotto interno lordo francese ed il 170% circa di quello italiano, di cui lo studio pure si occupa (iniziate a preoccuparvi).

Ecco l’idea: lo Stato diviene proprietario di una frazione del valore del terreno su cui sorge l’immobile, in misura variabile a seconda dell’obiettivo di abbattimento del debito pubblico. Di conseguenza, i privati dovrebbero pagare pro-rata allo stato la rendita immobiliare associata alla comproprietà del terreno. In pratica, sostiene il rapporto che lancia la proposta, la patrimoniale straordinaria insisterebbe su attivi “non prodotti” che generano una rendita, attaccata al diritto di proprietà, che corrisponde al diritto di occupazione del terreno.

Che accadrebbe nell’ipotesi in cui le famiglie non intendessero pagare su base annua questo “affitto del terreno” allo Stato? Che il debito d’imposta si accumulerebbe, accrescendo la quota del valore di terreno che passerebbe annualmente allo Stato, e verrebbe incassato dall’erario al momento della cessione dell’immobile, per atto tra vivi o per successione ereditaria (o donazione). L’ovvio effetto collaterale di questa imposizione sarebbe quello di ridurre maggiormente il valore degli immobili che hanno beneficiato di maggiore rivalutazione nel corso del tempo, per motivi legati al pregio della zona e dello stock di servizi pubblici di cui la medesima beneficia. Quindi l’effetto “equitativo” esisterebbe, pur in assenza di valutazioni catastali corrette, perché sarebbe il mercato ad incaricarsi di valutare il sacrificio di valore patrimoniale. I proprietari di immobili avrebbero un beneficio in termini di minore esborso immediato per imposte parametrate a valori di mercato.

Singolare che lo studio, che prende le mosse dalla realtà francese, giunga tuttavia a simulare gli effetti della patrimoniale sui terreni edificati italiani prevedendo, in caso lo Stato si impossessasse di un quarto del valore dei terreni edificati, un abbattimento del rapporto debito-Pil di 40 punti percentuali. In tanti pensano a noi e vogliono darci suggerimenti, come vedete.

Che dire, di questa misura? Che è una delle tante viste in questi anni, tutte basate su forme di imposizione patrimoniale straordinaria, e che produrrebbe una evidente compensazione tra debito pubblico e ricchezza privata, di tipo immobiliare. Ricordiamo ad esempio quella dell’ex Ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio, che ha persino avuto, come la Settimana Enigmistica, qualche tentativo di imitazione; differenti e bislacche, o più propriamente demenziali, ma sempre di natura immobiliare.

Tra questa elaborazione teorica di France Stratégie e le misure fiscali di Emmanuel Macron c’è un punto in comune: entrambe insistono sull’imposizione immobiliare. Macron vuole eliminare dall’ISF (Impôt straordinaire sur la fortune) la componente mobiliare; che, come dice la parola, è quella altamente mobile, anche per attrarre capitali esteri. Come intuibile, si colpisce la componente immobiliare (per la quale Macron prevede l’IFI, Impôt sur la fortune immobilière), che resta legata al territorio, anche per “catturare” parte della rivalutazione prodotta negli ultimi vent’anni. Prendete il tutto come un divertissement fiscale (si fa per dire), ricordando le ricorrenti “soluzioni rivoluzionarie” per il patrimonio pubblico italiano che carsicamente qualche guaritore estrae dal cilindro. Attendendo la resa dei conti.

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