Sassoli e la stampante in fondo all’arcobaleno

Su Repubblica, interessante intervista del corrispondente da Bruxelles, Alberto D’Argenio, al presidente del Parlamento europeo, l’italiano David Sassoli. Il quale già si proietta al dopo pandemia con alcune idee piuttosto fisse ed altre che invece ci ricordano l’eccezionalismo italiano, che poi è quello dei sovranisti e populisti. Che potranno anche essere ammaccati nelle urne ma che, alla fine, hanno trasmesso la loro visione del mondo anche a esponenti di partiti “seri” che si definiscono agganciati alla realtà.

Sassoli parte da una premessa: ha ragione il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, a sostenere che il Patto di Stabilità non potrà essere reintrodotto “prima del 2023” perché “distruggeremmo l’inizio della ripresa”. Ora, premesso che voler di reintrodurre il Patto di Stabilità il prossimo anno sarebbe il passaporto per la neurodeliri, pensare di saltare direttamente il 2022 e approdare all’anno successivo appare molto simile alla fuga in avanti di una parte assai interessata, l’Italia.

Sassoli rilancia anche l’esigenza di “più Europa”, e stranamente lo fa tirando in ballo le politiche fiscali nazionali:

Abbiamo bisogno che tutti gli Stati membri s’impegnino in riforme fiscali coordinate a livello europeo, in modo da sviluppare politiche redistributive. Molti combattono con la povertà, ma altri hanno guadagnato dalla crisi. Il contributo dei privilegiati è importante per ridurre le diseguaglianze.

Confesso che non mi è chiaro in quale modo le “riforme fiscali coordinate a livello europeo” possano invadere le politiche fiscali nazionali, dettando loro la priorità “della redistribuzione”, con coperture da trovare “tra i privilegiati” che hanno “guadagnato dalla crisi”. Tali privilegiati sono, manco a dirlo “i giganti del web e alcune catene di distribuzione”, ma attenzione: la web tax sarà europea e servirà alle coperture del Recovery Fund. Mentre attendiamo l’una e le altre (Joe Biden permettendo), il presidente del Parlamento europeo precisa di riferirsi

[…] ai privilegi dei quali le grandi industrie godono in alcuni paesi dell’Unione, come i tax ruling.

Il che è decisamente un vaste programme, e non da oggi. Quindi, vediamo: bisogna “fare redistribuzione” con “riforme fiscali coordinate a livello europeo”, che per Sassoli sarebbe l’eliminazione di alcuni tax loopholes in giro per l’Europa. Quello che l’ex giornalista Rai pare non cogliere è che i tax ruling, nell’orientamento europeo, sono da combattere quando ad aziendam. E questo già avviene, vedasi caso Apple-Irlanda, al netto dell’iter giudiziario di appello, in corso.

Quindi, par di capire, obiettivo vero di Sassoli è quello di giungere ad una base imponibile comune europea, altra chimera da tempo evocata e mai perseguita, per evidenti motivi, al netto di qualche ricorrente segnale di fumo tra la coppia Francia-Germania. Per chi fosse interessato alla mia inutile opinione, io sono favorevole a cercare di creare una base imponibile comune ma di certo non a fissare anche aliquote d’imposta comuni sui redditi delle società.

Il cosiddetto level playing field va raggiunto nelle premesse della base imponibile omogenea, non negli esiti di aliquote uguali. Chissà perché invece ho l’impressione che gli italiani puntino sempre a omogeneizzare tutto, rectius ingessare, non a caso sui livelli del peggiore della classe, quello che senza tassa e spendi muore soffocato. Che malpensante, sono.

Sassoli è poi favorevole alla mutualizzazione del debito. Chi l’avrebbe mai detto, vero?

È necessario rendere permanenti le emissioni di debito comune e creare un Tesoro a livello europeo. Abbiamo avuto un grande successo con i bond di Sure e avremo un grande successo con quelli del Recovery. È un modello da rendere definitivo. Con bond europei potremmo impegnare la Bce nel finanziamento della transizione ecologica, che è anche uno strumento della ripresa. Si tratta di un tema decisivo che potrebbe consolidare davvero l’Unione.

Alcuni miei inutili rilievi. Per creare “un Tesoro europeo” serve cambiare i trattati, e rendere decisamente più invasivo, sia pure democraticamente, lo scrutinio dei conti nazionali e il processo di formazione delle leggi di bilancio dei singoli paesi. Ovvio che Sassoli lo sappia, al punto che lo esplicita a domanda successiva. Riguardo al “grande successo” di emissione dei bond Sure e di quelli che arriveranno a servizio del Recovery Fund, quel successo deriva dal fatto che hanno rating massimo, che non deriva da qualche congiunzione astrale o rito sciamanico ma dalle condizioni medie di finanza pubblica dei paesi europei. Bene non scordare questo punto, ad evitare di credere di aver trovato l’ennesima pentola d’oro in fondo all’arcobaleno. O una nuova stampante.

Non si capisce, peraltro, che diavolo c’entri la Bce col “finanziamento della transizione ecologica”. Se i bond comuni risulteranno appetibili per gli investitori globali, saranno loro a comprarli, e ci sarà forte domanda. Attenzione ai non sequitur e alle fallacie che sembrano prese alla lettera dal programma di qualche stampatore compulsivo di moneta.

A proposito di stampatori, a conferma che la suggestione di Sassoli è quella, ecco la risposta alla domanda sulla “necessità” e “possibilità” di cancellare il debito acquistato dalla Bce durante la pandemia:

È un’ipotesi di lavoro interessante, da conciliare con il principio cardine della sostenibilità del debito. Nella riforma del patto di stabilità dovremo concentrarci sull’evoluzione a medio termine di deficit e spesa pubblica in condizioni di crisi e non solo ossessivamente sul debito.

Una supercazzola lieve e leggiadra, diremmo. Il “principio cardine della sostenibilità” del debito va prima verificato sul campo, e comunque le pandemie finiscono. Diciamolo perché queste ideone sembrano proprio portare il copyright italiano del mettere le mani avanti alla ricerca della scorciatoia, invocando “lo stato di crisi” anche quando il medesimo è scomparso.

Ricordate la spiegazione di Tremonti sull’attentato alle torri gemelle come determinante della stagnazione italiana? Unico paese del G7, e non solo, a essere colpito da quel tragico evento, pareva. Oppure l’ex ministro dell’Economia e prossimo banchiere privato, Pier Carlo Padoan, che invocava il referendum sulla Brexit per spiegare gli immancabili “rischi al ribasso” per la congiuntura italiana, nel 2016? Ecco il Made in Italy: trovare una scusa alla John Belushi.

Il presidente Sassoli, il commissario Gentiloni e la politica italiana tutta dovrebbero tener presente un punto: l’Italia ha lo stigma di unico paese Ue la cui crescita nominale è inferiore al costo medio del debito. Questa è la condizione in cui siamo entrati in questa crisi pandemica.

Ora abbiamo una grande opportunità: gli acquisti Bce stanno riducendo inesorabilmente il costo medio del nostro debito, ma tocca a noi produrre una crescita nominale che ecceda quel costo. Per fare ciò, non servono modifiche dei trattati, richieste oniriche di unificazione fiscale, cancellazione di debito, emissione di debito comune ed altre amenità. Serve produrre crescita, per sé. Solo così si potrà ridurre il debito senza sostanziale “austerità”.

Tutto il resto sono le solite scorciatoie italiane che portano da una sola parte: contro il muro.

Per il momento, prevalgono i soliti riflessi condizionati da compagni di Pavlov:

ADDENDUM: leggo alcune precisazioni, più interessate che interessanti, a soccorso e puntualizzazione della tesi di Sassoli. Del tipo: la Bce potrebbe convertire il debito in perpetuo, così sarebbero salve forma e sostanza dei trattati. Ammesso e non concesso che sia così, tenete presente che dietro restano la politica e le condizioni dei singoli paesi. Ovvero, se solo l’Italia resterà impantanata nell’effetto “snowball” avverso, cioè costo medio del debito superiore a crescita nominale, mancherà la famosa sponda politica per promuovere questa richiesta. Non è difficile, non trovate?

Photo: CC-BY-4.0: © European Union 2019 – Source: EP

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