“Solo i cretini non cambiano mai idea” è una canzoncina ormai trita di cui faremmo bene a liberarci. Lo dico soprattutto a me stesso, visto che questo umile sito ha come velleità programmatica quella di combattere i luoghi comuni e le frasi fatte. Quindi, archiviamo il concetto come Jamie Powell ha fatto con quello di inflazione “transitoria” prima di suonare le sirene d’allarme e precipitare la Federal Reserve a un maestoso “presto, ché è tardi” per alzare i tassi, e dedichiamoci al “percorso” di un giovane leader politico italiano, che nel corso della corrente legislatura ha girato la prua più volte, manco fosse un motoscafo d’altura guidato da un pilota lievemente ebbro.
Parliamo di Luigi Di Maio, il grande pentito della politica italiana, colui che ha fatto plurimi atti di contrizione per aver sbagliato valutazioni su persone e situazioni. A inizio legislatura, incendiario da balcone; al termine, pompiere ed equilibrato statista. Basterà per restare in sella e affrontare il torello delle elezioni?
Premetto che credo di sì perché, anche se l’entità convenzionalmente nota come Movimento 5 Stelle uscirà obliterata dal lavacro elettorale (gli unici a non averlo ancora capito sono quelli del Pd e della Ditta, forse), i suoi big e le sue star riusciranno, presumo, a mantenere le terga su uno scranno parlamentare. Senza primarie, presumo anche.
Dai casseur gialli all’amico Macron
Di Maio si è rammaricato per le sue posizioni del passato e ha spinto l’abiura a un giro 180 gradi, in attesa dei famosi 360 (o anche 370, come avrebbe detto la senatrice Barbara Lezzi) in caso la situazione economica del paese dovesse tornare a precipitare e servisse togliere dalla naftalina gli arruffapopolo. Dalla gita francese per omaggiare i casseur che indossavano un gilet giallo al più recente “Non voglio interferire con le elezioni francesi, ma io Macron lo voterei”. Non conosciamo le reazioni dell’interessato, forse scongiuri o qualche colorita espressione tipicamente transalpina.
Archiviato dunque, ma non sulla sua pagina Facebook, quel sommet francese con commento che chiudeva, a mo’ di messaggio della resistenza, nemmeno criptato, per evitare che qualcuno si confondesse:
Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi. Ripeto. Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi.
Niente Radio Londra, troppo criptica. Meglio essere espliciti, per farsi capire dal popolo:
Whirlpool, chi era costei?
Poi vi fu il periodo protezionista di Di Maio, per far capire al mondo che l’Italia protegge le proprie produzioni costi quel che costi, anche spararsi nelle gonadi. E, a questo proposito, quello della soluzione delle grandi crisi industriali con nuove feroci norme anti-delocalizzazione e a tutela dei marchi storici, che devono stare legati al territorio sinché morte non li separi dal medesimo e possano direttamente essere conservati in un museo.
E proprio una di quelle iniziative di Di Maio, un mix di abilità negoziale e faccia feroce, portò a quello che ad oggi è il suo maggior successo: far restare Whirlpool a Napoli. Ah, no, aspetta.

Purtroppo, il ministro del Lavoro non ebbe tempo di concludere l’opera, visto che si trasferì alla Farnesina (ottima occasione per studiare un po’ di geografia, peraltro), dove ha appreso che le nostre imprese sono macchine da export, e come tali bisogna supportarle. La parola d’ordine oggi è “internazionalizzazione”. Col fresco entusiasmo del neofita, Di Maio è riuscito anche a proporre le immancabili defiscalizzazioni, questa volta sugli utili da export. E vabbè.
Solo i cretini non evolvono la normativa
Ma il pensiero di Di Maio si è ulteriormente affinato, anche dopo aver scoperto che “Stiamo vivendo un dinamismo senza precedenti sull’attrazione degli investimenti esteri in Italia”, come dichiarato oggi al Senato in videocollegamento, all’evento organizzato dal M5S “A fianco di chi crede nell’Italia”.
“Appena siamo arrivati al governo abbiamo fatto introdurre norme per aumentare le penali per tutti coloro che prendevano soldi dallo Stato e poi se ne andavano” […] “Credo che queste norme vadano sempre in evoluzione”, “dobbiamo sempre evolvere la normativa”.
Scendi la normativa che la evolvo, in pratica. Non è chiaro in che direzione il ministro voglia evolvere la normativa ma qualche suggestione l’ha fornita, della serie “brevi cenni dall’universo”:
Stiamo cercando di creare un percorso per favorire gli investimenti in Italia e renderli stabili sul territorio. Siamo disposti a dare incentivi alle aziende ma con rassicurazioni sull’impegno a restare sul territorio, perché non succeda quello che è successo con Whirlpool.
Giovani sugheri post-Dc
Ecco, giusto, Whirlpool: quando ho già sentito questo nome, sulle labbra di Di Maio? Mah. E comunque, dubito serva “dare incentivi” all’insediamento. L’unico “incentivo” è la creazione di un contesto favorevole attraverso infrastrutture, tutela dei diritti di proprietà, mano d’opera addestrata. Altrimenti, torniamo daccapo: soldi a faccendieri domestici spesso esterovestiti per “salvare” aziende morte.
Siamo fiduciosi che il percorso di diligente apprendimento del ministro Di Maio potrà proseguire nella prossima legislatura. In tal modo potremo contare anche su un affinamento della sua piattaforma economica, dato che quella di un lustro addietro era un filo grezza, diciamo.
Ricordate le banche dati che non si parlavano né incrociavano? Quelle. Perché interrompere il percorso riformista di un giovane statista, che proprio ora ha l’opportunità di porsi come mediatore, da bravo capo della diplomazia italiana, e favorire il dialogo e la distensione tra le banche dati medesime?
L’ascensore sociale all’italiana
L’abito fa il monaco, quindi il suo inseparabile completo con cravatta ci garantisce che avremo un leader antropologicamente moderato, una sorta di democristiano duepuntozero (o zeropuntodue, più adatto a questo paese), quando si tratterà di sedersi a tavola al tavolo di qualsivoglia negoziato. Non è più tempo di “giovani turchi”, tornano i “giovani sugheri”. Galleggio, ergo sum. Praticamente, un coniglio mannaro di forlaniana memoria.
So cosa state obiettando: ma davvero serviva pagare tutti questi soldi di indennità parlamentare a un giovane ambizioso che voleva essere capopopolo e ora studia nella sua cameretta alla Farnesina a spese dei contribuenti? Non potevamo prenderlo “già studiato”? Ma soprattutto, i suoi elettori delle origini saranno ancora quelli, pur ormai soffrendo di labirintite, o ne avrà intercettati di nuovi?
Ottimi punti. Spero tuttavia di non essere rimbrottato come elitista da tutti i tifosi del peculiare ascensore sociale italiano o da quelli che dicono “sì ma anche Di Vittorio aveva la licenza media!” E chissà che, dopo altri anni passati a studiare, Di Maio non finisca un giorno al Quirinale, senza grandi disturbi né troppi casini, con minuscola o anche maiuscola. Nessuno punti la sveglia, il sogno italiano prosegue.