La durata della guerra in Ucraina e le atrocità commesse dall’esercito di invasione russo contro i civili stanno in apparenza scuotendo gli europei e spingendoli a valutare misure di embargo contro le esportazioni energetiche di Mosca. Soprattutto, ciò dovrebbe accadere in conseguenza della situazione sul terreno, che minaccia di durare ancora a lungo, e dei livelli d prezzi di mercato. Oltre a evitare macchinose proposte accademiche che peccano di semplicismo oltre che di astrazione dal mondo reale.
Subito dopo l’inizio dell’invasione russa, l’economista Ricardo Hausmann ha lanciato una proposta di tariffa punitiva contro il greggio russo, in teoria applicabile anche al gas naturale. Questo il ragionamento:
Una tassa su un bene, come il petrolio russo, influenzerà sia l’offerta che la domanda, modificando il prezzo del bene. Di quanto cambia il prezzo, e chi sostiene il costo della tassa, dipende da quanto sia l’offerta che la domanda sono sensibili alla tassa, o da ciò che gli economisti chiamano elasticità. Più elastica la domanda, più il produttore sostiene il costo della tassa perché i consumatori hanno più opzioni. Più anelastica l’offerta, più il produttore, ancora una volta, sopporta la tassa, perché ha meno opzioni.
Elastici e anelastici
Hausmann ritiene che la domanda di greggio russo sia altamente elastica, perché ai consumatori non interesserebbe da chi proviene il greggio. Ma subito dopo precisa, di fatto ponendo seri vincoli e condizioni alla sua argomentazione: “se altro greggio con simili proprietà è disponibile”. Ecco, appunto.
La risposta a questo caveat di Hausmann l’ha data giorni addietro il Financial Times, ricordando che a comprare greggio non sono automobilisti alla ricerca di un distributore che offra a meno ma le raffinerie. Le quali hanno vincoli tecnici nel trattamento di oli di qualità differenti, e tali vincoli non sono modificabili nel breve termine. Le qualità di greggio non sono perfettamente fungibili rispetto all’attività delle raffinerie: la Urals russa, un mix pesante e ad alto tenore di zolfo, non è pienamente fungibile rispetto al più leggero Brent, e così via.
Hausmann prosegue l’argomentazione affermando che la produzione russa di greggio è altamente anelastica al prezzo nel breve termine, dati i costi di estrazione molto bassi. Si stima che i costi di upstream russo siano tra i 3 e i 6 dollari al barile. Ai russi converrebbe estrarre il greggio dal sottosuolo anche se il prezzo scendesse a 6 dollari al barile, in pratica. Da qui il suggerimento di usare una maxi-tariffa che riduca il netto per il venditore.
Seguono i numeri: una tassa del 90% sul greggio russo sposterebbe 300 miliardi di dollari di rendita da Mosca ai paesi produttori. I quali potrebbero (dovrebbero) girare tale rendita ai consumatori.
Rubare la rendita al monopolista
Si tratta di concetti relativi a monopsonio e monopolio e al surplus del consumatore. Un successivo articolo di Daniel Gros su voxeu offre una rappresentazione grafica di domanda e offerta, concentrandosi sul gas. Scrive Gros:
L’analisi economica standard implica che Gazprom, in quanto monopolista, non addebiterà semplicemente il suo costo marginale ai consumatori europei, ma limiterà le sue forniture al punto in cui il suo costo marginale è uguale al ricavo marginale dell’ultimo metro cubo venduto. Ciò conferisce a Gazprom una considerevole rendita monopolistica (che alla fine confluisce nelle casse del governo russo).
Se l’UE imponesse una tariffa, Gazprom aumenterebbe il suo prezzo ma solo di una frazione della tariffa perché altrimenti perderebbe troppe entrate. La tariffa intacca così la rendita di Gazprom. La figura 1 in allegato mostra l’equilibrio risultante da una tariffa. Il benessere dei consumatori europei risente quindi dell’aumento dei prezzi, ma il gettito tariffario sarebbe superiore alla loro perdita, almeno fino a un certo livello della tariffa.

L’immagine illustra il caso lineare usato nel testo di Gros. MC è il costo marginale, D la domanda e MR il ricavo marginale. QFT è la quantità importata in regime di libero scambio e QT la quantità importata in presenza di tariffa (o aliquota t)

Torniamo ad Hausmann, che conclude:
Ma quanto sarebbe fattibile una tassa mondiale del 90% sul petrolio russo? Nel 2019, il 55% delle esportazioni russe di combustibili minerali (tra cui petrolio, gas naturale e carbone) è andato all’UE, mentre un ulteriore 13% è andato a Giappone, Corea del Sud, Singapore e Turchia. La Cina ha ottenuto solo il 18%. Se tutti questi paesi tranne la Cina accettassero di tassare il petrolio russo al 90%, la Russia proverebbe a vendere tutto il suo petrolio alla Cina. Ma questo metterebbe la Cina in una forte posizione negoziale. In uno scenario del genere, sarebbe nell’interesse della Cina imporre la tassa, perché uno strumento del genere sottrarrebbe la rendita che altrimenti dovrebbe pagare alla Russia.
Sembra una teorizzazione molto elegante, non a caso il Financial Times la definisce fancy. Ricorda la storiella sull’economista solo su un’isola deserta e dotato unicamente di scatolette di cibo. Che fare? “Ipotizziamo di avere un apriscatole”. Adattata, qui diremmo “ipotizziamo di avere raffinerie in grado di lavorare in tempo reale ogni qualità di greggio sul pianeta”. Così l’elasticità della domanda di greggio al prezzo divenne altissima e vissero tutti felici e contenti.
Prezzi comunque insostenibili
Che fare, quindi? Pare, come detto, che tra i governi europei inizi a farsi strada il convincimento che, senza un blocco delle importazioni di energia russa, non si riuscirà a piegare Putin. Ma c’è soprattutto un’altra evidenza di realtà, che sta mordendo gli europei: questi prezzi dell’energia sono semplicemente insostenibili. Ancora poche settimane così, e assisteremo a fermi produttivi che finiranno col paralizzare le nostre economie.
Se dobbiamo soffrire, quindi, forse è meglio farlo andando al braccio di ferro con la Russia, embargando l’import energetico, anziché continuare a svenarsi a questi livelli di prezzo. Questa sembra la logica più stringente, in effetti. La Russia, grazie all’export energetico, sta ricostituendo presso la propria banca centrale le riserve congelate in Occidente, e che può considerare perse perché saranno con alta probabilità destinate alla riparazione dei danni di guerra oppure confiscate in caso Mosca si mangiasse l’Ucraina. Per ora le nuove riserve valutarie russe serviranno a Mosca per pagarsi le importazioni, che come sappiamo sono estremamente difficoltose (e costose) anche per i beni non sanzionati.
La fine del flusso di denaro europeo in entrata potrebbe dare il colpo di grazia a Mosca. Ma dovremo fare una valutazione su quanto possiamo resistere, e iniziare a preparare un piano di contingenza per il razionamento dei consumi.