L’invito: “Passando sotto casa del nostro amico, rivolgetegli un saluto con qualche colpo di clacson”. Le indicazioni: “Giorno e notte”. L’istigazione: “Ora e per il resto della sua vita”. In calce al manifesto, comparso ieri sotto la pensilina di una fermata dei taxi, indirizzo e numero di telefono del professor Francesco Giavazzi, docente della Bocconi, economista ed editorialista del Corriere della Sera. L’accusa: avere opinioni contrarie al pensare comune dei tassisti. Sedici righe di intimidazioni, accuse, caustica ironia. Per aver staccato il manifesto, dopo averlo letto e giudicato “incivile”, un ignaro passante si è ritrovato sotto una scarica di pugni. Erano passate da poco le otto e mezza di ieri mattina, in piazza Cinque Giornate, pieno centro di Milano. Nello stesso istante, in Comune, si apriva la trattativa tra assessore al Traffico e sindacati per la riforma del servizio taxi.
Nel frattempo, alcuni tassisti pensano bene di “mettere all’indice” il professor Giavazzi: su un foglio appeso alla vetrata del parcheggio taxi di piazza Cinque Giornate la foto del professore e il disegno di una mano con un fiocchetto al dito indice. Leggendo il testo, si svela il significato del simbolo: qualche tassista “se l’è legata al dito”. Ma cosa? “Abbiamo scoperto — dice il manifesto — che l’articolista è sconvolto per il trionfo della categoria dei tassisti”. Segue il riferimento a un libro, Lobby d’Italia, in cui Giavazzi ha esaminato “L’italia dei monopoli, delle corporazioni e dei privilegi. Di giornalisti, farmacisti, professori, banchieri, notai… (in copertina i tassisti non compaiono, ndr). Le storture di un Paese bloccato”. L’accusa, in poche parole, è quella di essere a favore delle liberalizzazioni. Il testo si chiude con una sorta di processo all’intenzione di “voler attaccare la categoria per farci scontrare con il sindaco Moratti”. Finale: si invitano i tassisti a tormentare Giavazzi a colpi di clacson. Il resto potete leggerlo qui.
Non male. Dopo i cori “duce, duce”, siamo alle spedizioni punitive. Nel frattempo, restiamo basiti dalla rapidità con cui Livia Turco avrebbe chiuso la vertenza-farmacie: senza modificare il decreto-Bersani, ma “promuovendo il ruolo della farmacia come “garante della continuità assistenziale” (?). Quadrato il cerchio. E vissero tutti felici e contenti. Aspettiamo i dettagli operativi di questo coup de theatre, sperando che siano a costo zero per i contribuenti, essendo alle viste il rinnovo, dopo otto anni, della convenzione farmaceutica con il Servizio Sanitario Nazionale. Interessante anche il pas-de-deux del presidente di Federfarma, che nei giorni scorsi si stracciava le vesti di fronte all’ipotesi di avere dei farmacisti dietro i banconi della grande distribuzione, e gridava alla cospirazione delle Coop in questi termini:
“I farmacisti, le istituzioni europee e l’Antitrust vogliono che i cittadini possano trovare l’aspirina in qualsiasi esercizio commerciale, compresi i piccoli supermercati e gli autogrill in autostrada. Questo è realizzabile solo se non c’è l’obbligo della presenza del farmacista. “
Tutto finito, scurdammoce ‘o passato:
“Siamo d’accordo con il ministro Turco che portare il farmacista in un nuovo ambiente, per vendere determinati farmaci, dia maggiore tranquillità agli utenti, per un supporto in più al cliente.”
Per terminare, un consiglio a Gianfranco Fini: onorevole, non si faccia venire idee balzane come quella del referendum abrogativo della futura legge-Bersani. Perché in quella circostanza il corporativismo patologico della società italiana verrebbe funeralato senza pietà dall’elettorato, per usare il dotto neologismo del presidente dei panificatori.
Va bene essere abbonati alle sconfitte, ma cerchi di non esagerare.
UPDATE: Solidarietà al professor Giavazzi, per una cultura della legalità e per dire no alla violenza quale strumento di dialettica politica.