L’arabesco del Mezzogiorno

Nelle more del percorso parlamentare del provvedimento che istituirà la cosiddetta Banca del Mezzogiorno, che si chiama così “perché il nome Banca del Sud era già stato registrato da altri” (cit.), è possibile solo compiere alcune considerazioni di larga massima. Le più centrate delle quali provengono, sinora, dal nostro socio JCF e dall’articolo di Tito Boeri e Fausto Panunzi su lavoce.info. La principale è che la garanzia pubblica sul debito emesso dalla nuova banca sarà, a tutti gli effetti, debito pubblico, con quello che ne consegue. In secondo luogo, e come insegna l’esperienza siciliana, avere un elevato tasso di bancarizzazione non è garanzia di buona qualità dei crediti erogati, per tacere delle devastazioni che il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia hanno inferto per decenni alle tasche dei contribuenti italiani.

Erano anni ruggenti, c’erano le Bin, che tanto piacevano a Tremonti, e che “andavano molto bene”, anche se non è chiaro in cosa. Non si può poi non rilevare che la fiscalità agevolata per la raccolta, con cedolare secca sugli interessi che passa dal 12,5 al 5 per cento, rappresenta una nuova distorsione fiscale al mercato dei depositi, di cui non si sentiva francamente il bisogno, e su cui si esprimerà la Commissione europea. Peraltro, la domanda sorge spontanea: non è Tremonti quello che ha sempre detto che nel Mezzogiorno c’è la raccolta ma non ci sono gli impieghi? Se sì, che motivi ci sono per stimolare ulteriormente la prima? Forse che in Italia la via più breve per congiungere due punti resta l’arabesco?

A voler pensare male verrebbe da ipotizzare che obiettivo prioritario di Tremonti sia in realtà quello di “dare una lezione” alle grandi banche, colpevoli di non aver accettato i Tremonti bond, oltre che per costruire una propria coalizione di potere. La stessa discesa in campo di Poste italiane, operatore da sempre tra i più protetti e distorsivi della concorrenza nei mercati in cui agisce, suggerisce questa ipotesi. Se il problema è quello di sbloccare il credito, un aiutino poteva venire dall’aumento della defiscalizzazione degli accantonamenti delle banche, e non ci vuole un Ph.D per comprenderlo. Ma evidentemente, ai fini di Tremonti questo strumento era del tutto inutile.

Nel frattempo, il ministro è tornato ad essere isolato, come gli accadde nella precedente esperienza di governo. Non solo e non tanto dalla Banca d’Italia, che dovrebbe essere il suo interlocutore naturale e con la quale invece il Nostro trova utile solo ingaggiare singolar tenzone, quasi sempre con argomenti non particolarmente adulti, ma anche all’interno della stessa compagine governativa. E poco ci rallegra ipotizzare che i contrasti che stavano per far naufragare il varo della nuova banca parrebbero indirettamente indicare la bontà dell’approccio tremontiano, visti gli antagonisti del ministro. Non è da questi segni del cielo che il Mezzogiorno troverà di che rialzare la testa, dopo decenni di malversazioni, illegalità diffusa e corruzione capillare, alimentata da una classe politica levantina e satrapica che impedisce la tutela dei diritti di proprietà. Ci si stupisce che in un simile contesto ambientale il credito costi più che in altre parti del paese? Sarà mica colpa di Basilea 2 anche la criminalità organizzata?

Molto altro ci sarà da dire e da scrivere, al progredire del percorso parlamentare del provvedimento istitutivo di questa strana ed inquietante creatura. Certo, per motivi di bon ton converrebbe non liquidare il tutto con battute sferzanti, e tentare di essere il più possibile analitici. Ma se anche uno dei più strenui difensori della politica economica del governo, e di Tremonti in particolare, cioè Francesco Forte, giunge ad esprimere pesanti riserve sull’operazione, qualche dubbio viene anche a noi miscredenti mercatisti.

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