Su Free Exchange, blog dell’Economist, uno sguardo alla struttura del welfare tedesco, ai suoi effetti disincentivanti dell’offerta di lavoro ed alla sua potenziale evoluzione, agevolata dall’imponente volume di risorse fiscali di cui il paese gode. Noi poveri italiani, ormai quotidianamente rimbecilliti da suggerimenti, inviti e precetti su come riformare il welfare, possiamo solo prendere atto, e soprattutto riporre le nostre velleità imitative.
Il primo dato che spicca è l’entità della pressione fiscale tedesca, diretta ed indiretta, sul lavoro: se i dati del post sono corretti (ma non abbiamo motivo di dubitarne), in Germania il 65 per cento circa del gettito fiscale deriva da tassazione del lavoro, inclusi i contributi sociali, contro una media Ocse che si posiziona a circa il 52 per cento. Possiamo quindi inferire che il problema non è l’entità della tassazione sul lavoro ma la produttività di sistema. Se un paese è un formidabile generatore di valore aggiunto, anche una elevata pressione fiscale sul lavoro non rappresenta un ostacolo al suo sviluppo. Anzi, tale pressione fiscale sul lavoro, serve verosimilmente per mantenere contenuta la fiscalità su imprese e (soprattutto) investimenti. Questo è un dato da tenere in considerazione per il nostro puzzle.
Inoltre, osserva l’articolo, in Germania le coppie sono tassate congiuntamente sul reddito. Questo significa che il secondo percettore di reddito (che di solito è la donna) subisce un pesante disincentivo all’offerta di lavoro, visto che l’aliquota marginale di tassazione congiunta è comunque progressiva. In altri termini, in Germania non opera alcun sistema di quoziente familiare “diretto”, cioè attraverso una struttura rettificata (e non cumulativa) di aliquote sul reddito familiare. Questo effettivamente determina che il paese abbia una ridotta partecipazione alla forza lavoro da parte di donne sposate e madri. In contropartita, però, il coniuge a carico (ancora la donna, nella maggioranza dei casi) è coperto dall’assicurazione pubblica di quello che lavora. Altro trasferimento di welfare è relativo ai figli a carico, per i quali sono previste erogazioni dirette alle famiglie. Questo fa sì che il sistema sociale tedesco, attraverso il suo welfare, risulti particolarmente conservatore: le donne stanno a casa e si occupano dei figli; i mariti vengono tassati pesantemente sul reddito ma a fine mese si ritrovano in busta-paga delle somme aggiuntive di welfare.
A partire dal 2013, tuttavia, il sistema potrebbe cambiare: al compimento del primo anno di vita del bambino, sorge il diritto al child care, che può avvenire attraverso l’affidamento a strutture esterne al nucleo familiare, in modo da permettere di aumentare l’offerta di lavoro a tempo pieno proveniente dalla famiglia (se non fosse che esiste la tassazione congiunta senza compensazione piena del secondo percettore di reddito, in termini di detrazioni e deduzioni). La CDU, che gioca un ruolo socialmente conservatore, sta frenando su questa ipotesi, ed ha chiesto che venga corrisposta una erogazione a quelle madri (e padri) che restino a casa ad accudire il figlio. Si tratta, ad evidenza di un disincentivo all’aumento dell’offerta di lavoro.
Ora, capita che il paese sia sempre più ricco di risorse fiscali ma subisca anche gli effetti del progressivo invecchiamento della popolazione, con una velocità di aumento del tasso di dipendenza tra le più alte al mondo. Tale ricchezza fiscale, osserva il blog dell’Economist, potrebbe essere utilizzata sia per aumentare i trasferimenti diretti alle famiglie per l’accudimento dei figli piccoli, bloccando l’aumento dell’offerta di lavoro, sia per investire in strutture pubbliche, i nostri mitologici asili nido (e non solo). Vedremo se prevarrà la tradizione o l’innovazione.
Alcune considerazioni molto spicciole: il sistema-paese Germania, come detto, punta tutto da sempre su ricerca e sviluppo ed aumento di produttività e valore aggiunto. Date queste premesse, è pressoché fatale che il paese necessiti di un lebensraum in termini di ampi e crescenti mercati di sbocco e sia “costretto” quindi alla sua vocazione all’export. Così facendo, la ricchezza prodotta serve a finanziare un welfare ricco ma anche molto “tradizionalista”, con limitato sviluppo dell’offerta di lavoro femminile. Domanda: secondo voi, quali e quante possibilità ci sono per noi italiani di imitare il modello tedesco entro (diciamo) una generazione, data la struttura demografica ed il sistema scolastico ed imprenditoriale del nostro paese?
La certezza è che saremo costretti a smantellare il nostro inefficiente welfare per motivi di bilancio pubblico, in un paese in cui la mistica del “fare sistema” significa soprattutto permettere alle oligarchie parassitarie di rinviare la resa dei conti con la storia a spese della classe media e dei lavoratori, ai quali viene quotidianamente spiegato che per molto, troppo tempo hanno “vissuto oltre i propri mezzi”. Voi siete padroni di crederlo, ovviamente. Ma quando vi viene detto, in questi momenti di alta pedagogia, che “dobbiamo fare come i tedeschi” sappiate che si tratta, se non di una pietosa bugia (spesso, come detto, interessata), perlomeno di una applicazione della famosa teoria keynesiana del lungo periodo. Quello in cui, se non propriamente morti, saremo certamente più poveri.