Spesa pubblica, tutto è relativo

In Italia pare stia prendendo piede una curiosa corrente di pensiero, secondo la quale la Germania negli ultimi anni avrebbe tagliato la spesa pubblica. Ciò è vero solo in termini relativi sul Pil, però, perché in valore assoluto la spesa pubblica complessiva tedesca nell’ultimo decennio è aumentata praticamente ogni anno.

Utilizzando dati della Bundesbank sulla variazione percentuale della spesa pubblica tedesca nel periodo 2001-2011, riprodotti qui sotto, si osserva che la spesa cala in due soli anni: nel 2004, a seguito della entrata in vigore dei primi provvedimenti di austerità del governo federale, assunti dopo essersi liberati del Patto di Stabilità e crescita (tanto di cappello, comunque: risanare senza vincolo esterno sembra riuscire solo ai tedeschi); e nel 2011.

Nei restanti anni, si notano incrementi che sono peraltro coerenti con l’evoluzione congiunturale. Ad esempio, nel triennio 2008-2010, cioè durante la Grande Recessione, la spesa pubblica complessiva è aumentata a passo di carica (+3,16, +4,66 e +3,8 per cento, rispettivamente) e ben oltre il tasso d’inflazione, quindi anche in termini reali. Solo nel 2011 il governo federale si è messo d’impegno e ha tagliato dell’1 per cento la spesa sull’anno precedente, salendo in cattedra e spiegando ai poveri PIIGS come stare al mondo. Ah, la spesa pubblica complessiva italiana (la famosa G), nel 2011 è calata dello 0,86 per cento sull’anno precedente.

E’ appena il caso di segnalare che l’aumento di spesa pubblica tedesca è da attribuire in modo non marginale all’operare dei cosiddetti stabilizzatori automatici (sussidi, trasferimenti alle famiglie), come si intuisce dall’incremento della voce “social benefits“, soprattutto nell’anno 2009, zenit della crisi. Interessante notare anche che la spesa per investimenti pubblici resta mediamente piuttosto elevata, con un segno negativo solo nel 2010. Un elemento che, all’apice della crisi, ha contribuito ad inviare impulsi anticiclici, proprio mentre i PIIGS tagliavano di tutto e di più. Robusto anche il passo di crescita dei salari pubblici lordi (gross wages), che fa giustizia di tante favolette sul contenimento della spesa pubblica per il personale. Ovviamente, è opportuno focalizzarsi sulla qualità della spesa pubblica, anziché sulla quantità bruta, e qui ovviamente i tedeschi appaiono insuperabili, anche fuori dai luoghi comuni.

Interessante il balzo della spesa per interessi nel 2011 (+9,34 per cento) verosimilmente determinato dall’aumento dello stock di debito pubblico, oltre che dal fatto che i tassi di mercato lo scorso sono aumentati pressoché costantemente fino a maggio, quando la Bce ha tentato un ciclo di “normalizzazione” della politica monetaria, poi abortito a seguito del crash dei PIIGS.  Abbiamo il sospetto che quest’anno sarà una bonanza, per il debito pubblico tedesco.

Morale? Alcune considerazioni in ordine sparso.

In primo luogo, la spesa pubblica tedesca non è mai diminuita in questi anni, ma al più ha decelerato. La sua incidenza sul Pil è scesa grazie alla crescita del medesimo. Naturalmente, potreste anche rovesciare il flusso causale e sostenere che è il controllo delle dinamiche di spesa pubblica ad aver innescato la crescita del Pil, come si tende a fare per la Svezia, anche per giustificare il fatto che la spesa pubblica di Stoccolma è ancora abbondantemente sopra il 50 per cento di Pil. Ma saremmo nel regno della derivata seconda, mentre molti liberisti puri e duri guardano ben altro.

Occorre inoltre, come detto, focalizzarsi sulla qualità della spesa, più che sulla quantità. Ma qui entrano in gioco considerazioni di natura sociologica sul senso della comunità nazionale, sulla percezione che il denaro pubblico è nostro e non altrui, sulla sanzione sociale per chi lo spreca, sia a livello politico che di pubblica amministrazione che di utenza finale. E’ questo il vero, unico, grande vantaggio competitivo dei tedeschi (e in generale dei nord-europei), quello per il quale noi italiani dovremmo provare una soverchiante invidia. Ma questo rimette in discussione molti paradigmi “esistenziali”. Ad esempio, la spesa pubblica cessa di essere un disvalore, se efficace ed efficiente, cioè subordinatamente a quello che potremmo definire il social compact di una nazione. Ma se le cose stanno in questi termini, per noi italiani la prognosi resta infausta, checché ne pensi il capo dello stato pro-tempore, ad ogni crisi strutturale di questo paese.

Se poi, per tornare con i piedi per terra, nostro obiettivo resta quello di fare crescere la spesa pubblica meno del Pil, è assai difficile farcela nel momento in cui abbiamo una contrazione del secondo che è frutto di una stretta fiscale di 6 punti percentuali di Pil in un biennio, e con le banche in un credit crunch da regolazione (EBA, Basilea III) e da congiuntura. E tagliare la spesa in valore assoluto resta recessivo, nel breve e nel medio termine, checchè ne pensino i nuovi confusi stregoni austriacanti. E il cerchio (prociclico) si chiude.

GermanyPublicExpenditure
Variazione percentuale spesa pubblica tedesca

(cliccare per ingrandire)

Addendum – In calce a questo post di Francesco Daveri è riportata una elaborazione di Paolo Manasse, secondo la quale la spesa pubblica reale tedesca sarebbe comunque cresciuta in modo robusto, grazie alla disinflazione rapida che il paese ha saputo conquistare con la disciplina salariale e la produttività.

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